Faccio mea culpa. In passato ho fatto un grave errore. Ho giudicato un libro di fotografia dalla sua copertina, ancor prima di capirlo davvero.
Si tratta di "Lezione di Fotografia”, di Stephen Shore, un volume di circa 150 pagine costruito per mostrarci, e raccontarci, un modo alternativo di rapportarci alla materia fotografica, senza il peso di troppe date o parole complicate.
Ecco, quest'ultima parte, quella dell'essenzialità del volume, non mi era ben chiara.
Mi trovavo al secondo anno di Accademia e l'unica cosa che desideravo era leggere robe che mi potessero far sobbalzare dalla sedia. Venivo da libri come "La camera chiara" di Roland Barthes e "Sulla Fotografia" di Susan Sontag. Due volumi importanti, maestosi, complicati in alcune sezioni e rivelatori in tante altre: leggerli mi faceva sentire meno stupido, più inserito e conscio del settore.
Poi arriva questo. Stephen Shore. Grande fotografo. Titolo roboante, "Lezione di Fotografia". Tutto sembrava riecheggiare le stesse sensazioni dei primi due, quel fastidio del riconoscere di dover ancora percorrere tanti chilometri, prima di poter affermare di capirne qualcosa di fotografia. Invece, davanti a me, questo:
Un libro, con pochissimo testo e tantissime immagini. Nozioni disparate e, apparentemente (e qui sta il mio errore!), prive di qualsiasi collegamento. Fotografie, nel complesso, lontanissime dal gusto contemporaneo.
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