No, non è l’ennesima puntata di “Divertiamoci con le bandiere” di Sheldon Cooper (personaggio della famosa Serie TV “The Big Bang Theory”)” e neanche un leggenda metropolitana campata in aria da qualche saccente studioso, ma solo un ulteriore conferma di come la storia della fotografia nasconda, a volte, delle vicende davvero eccentriche.
Ti ricordi il fenomeno Rosenthal? Ci aveva colpito a tal punto da mettere in discussione molte faccende inerenti a quell’icona oggi al centro della cultura americana. La fotografia di Evgenij Chaldej, presa in esame in questo curiosissimo articolo, ci farà invece sorridere — o dubitare di molte altre cose.
Lo scatto realizzato dal fotografo russo sopra il palazzo del Reichstag a Berlino, alla fine dell’invasione russa sul territorio nemico, ci riserva un interessantissimo “dietro le quinte”, che non fa altro che gettare ulteriore pathos su quest’immagine oggi presente su tutti i libri di storia.
La fotografia scattata da Evgenij, a prescindere da quello che diremo in questo articolo, rimane grandiosa, sontuosa, ma alcuni aspetti, lungi dall’essere incisivi nell’analisi di questo documento storico, ci fanno capire come spesso il peso di realizzare un qualcosa che deve rimanere nel tempo contempli aspetti che vanno oltre le emozioni e le prime intenzioni.
Per questo motivo discuterne, dal mio punto di vista, non può farci solo che bene. Ma bando alla ciance, sono tre le grandi curiosità che impregnano di mistero questa fotografia oggi impressa nelle mente di tutti:
1) La bandiera catturata da Evgenij Chaldej è falsa, o almeno, non è una bandiera totalmente ufficiale.
Questa sembra essere assurda come cosa, quasi impossibile, ma seguimi nel discorso e capirai bene.
Il fotografo russo voleva realizzare un’immagine simbolo della vittoria del suo popolo, tartassato e vessato dal nemico per tutto il periodo della guerra. L’unico problema? Non aveva con sé una bandiera talmente grande da poter rendere onore alla sua nazione — questi Russi, sempre così lirici.
Se la fece allora ricamare, da suo zio, prima di partire da Mosca, su un telo rosso. Gli aggiunse successivamente sopra i simboli della falce e del martello, recuperati da un vecchio cartone da imballaggio. Nessuno, senza questa confessione, avrebbe potuto notare questi particolari. Che storia!
2) Lo scatto fu realizzato due giorni dopo a conquista di Berlino.
Per rendere maggiormente veritiera la foto, Evgenij, enfatizzò in camera oscura il fumo sullo sfondo dell’immagine, per dare l’idea di un conflitto appena concluso (nell’immagine originale è infatti evidente la differenza).
Se fosse stato il contrario, ci sarebbe stato maggior movimento e clangore all’interno della fotografia e, molto probabilmente, sarebbe stata più difficile realizzarla, visto il rischio di soldati tedeschi presenti a difesa della città.
Un piccolo particolare che avvicina questa fotografia al mondo della pittura, dove tutto veniva reinterpretato e costruito per essere magniloquente, più che alla dimensione estemporanea ed immediata tipica dello strumento fotografico.
3) La fotografia è stata modificata prima della sua pubblicazione.
Rallentiamo. Modificata? Una fotografia entrata alla storia come documento di veridicità e testimonianza di un evento mondiale? Ebbene si, ma c’è una ragione. Ascoltami bene.
Lo stesso Evgenij racconta che dovette rimuovere in camera oscura gli orologi scintillanti sul braccio del soldato al margine dell’inquadratura (quello che alza il braccio, per guidare il soldato nell’issamento della bandiera). Era evidente che quest’ultimo si fosse macchiato di sciacallaggio, cosa che nella morale sovietica veniva punita con la morte.
Non poteva essere pubblicata così. Stalin non avrebbe approvato. Come rimediare allora? Una pennellata in camera oscura e il problema è stato magicamente risolto. La storia rimane e i Russi hanno la loro icona.
Quello che abbiamo avuto alla fine di questa compendio di stranezze è un’immagine meravigliosa, sontuosa e difficile da scordare. Una ricetta strampalata, fatta di ingredienti inverosimili ma degna, alla fine, di tutta la nostra stima.
Si dice che Evgenij Chaldej fu affascinato a tal punto dall’immagine realizzata dal suo collega Rosenthal, da partire per la guerra con l’unico obiettivo di realizzare questa fotografia. Credo ci sia riuscito alla grande!
Quella bandiera fu la protagonista di altre foto ma, come abbiamo imparato già da tempo, per poter diventare un’icona, ci vuole ben altro che un bello sfondo e qualche soldato dentro l’inquadratura.
Ci vuole un contesto. Una storia. Evgenij Chaldej l’ha trovata ed oggi, grazie a lui, possiamo dire di aver conservato nella memoria un’altra icona del nostro immaginario collettivo.
Anche qui, come fu per Rosenthal, ti ripeto la domanda: ha così importanza che questa fotografia, talmente perfetta e corroborante, sia stata ricostruita? Per me, come fu per Rosenthal, assolutamente no.
Fonte: Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso. Michele Smargiassi. Contrasto Editore (2009)