Un grande mistero pervade le stanze dei monasteri italiani. È qualcosa di magico, di indescrivibile a parole: un lontano eco che riverbera, silenzioso, tra i muri di antiche strutture che hanno accolto per secoli il sapere e, si dice, tramandato lungamente la verità dei fatti terreni ed ultraterreni, a tutti i suoi adepti.
Questi luoghi, per tanti noi, rimangono ancora oggi inaccessibili. Seppur negli anni, abbiamo assistito all'apertura verso l'esterno di alcune realtà monastiche impegnate in attività di natura commerciale o sociale, tante altre mantengono ancora viva la loro riservatezza, nel rispetto di un culto religioso che vuole proteggere il percorso di ogni singolo monaco e il contatto con la propria spiritualità interiore. Sono proprio queste, le realtà più chiuse in se stesse, ad aver spinto Alessandro Giugni a mettersi in gioco, investendo gran parte del suo tempo nello studio delle storie di queste comunità e nel loro racconto fotografico.
Il suo libro, In Silentio et In Spe Erit Fortitudo Vestra, di recente stampa, è un lavoro unico nel suo genere. Documenta, con dovizia di particolari, le principali comunità monastiche sparse in giro per l'Italia, ma fa anche di più: ci svela, con uno stile estremamente avvincente, i segreti di quei luoghi e di quei rituali che prima potevamo solo immaginare, e che ora vediamo impressi in delle fotografie.
Ma come si racconta un monastero? E, soprattutto, come ci si sente a passare la notte in ambienti che, al sol pensiero, mi fanno accapponare la pelle? Domande che, in questa lunga intervista all'autore, non potevo esimermi da non fargli.
Intervista
Un anno, e poco più, passato tra monasteri in giro per l'Italia con la fotocamera in mano e zaino in spalla. Già solo così sembra l'incipit di un romanzo thriller di altri tempi. Direi che ti piace metterti alla prova
Si, nella mia vita non mi sono mai tirato indietro. Amo le sfide e mettermi continuamente in discussione. Questa è una cosa che ho trasportato anche nella mia fotografia, mai confortevole e sempre scomoda, in tutte le sue forme. Nel caso del lavoro sui monasteri, ho raggiunto il massimo livello. Tre anni di duro lavoro, passato tra fotografie scattate nei luoghi di culto e studio approfondito di simboli e rituali religiosi che mi hanno messo a dura prova, ma anche cambiato tanto dentro. È stata un'esperienza a dir poco pazzesca.
Il tuo progetto di "In Silentio et In Spe Erit Fortitudo Vestra. Viaggio nell'esoterismo della Chiesa Cattolica", ci mette immediatamente davanti ad un tema poco trattato, quello dell'esoterismo nei monasteri italiani. Come sei arrivato a concepire l'idea di buttarti a capofitto in un'impresa simile?
È stata la conseguenza di una lunga sequela di immagini realizzate su temi affini. Già in passato, essendo profondamente interessato allo studio delle antiche scritture - ebraico in primis - e all'esoterismo, ho avuto modo di scendere a fondo di alcuni misteri relativi a questo universo, scoprendone, inizialmente sui testi religiosi, e poi tramite la fotografia, peculiarità e tracce rimaste intatte nei secoli.
In questo lungo percorso, ero riuscito solo a scattare fotografie di singole manifestazioni religiose o di singoli ordini monastici, senza però avere mai la possibilità di seguire, nella sua interezza, un culto religioso e le sue numerose attività. Era come avere tra le mani la descrizione di alcuni lineamenti di un viso bellissimo ed esotico senza poterne vedere mai il volto completo. Sentivo che non tutto poteva limitarsi a quello, che c'era altro da raccontare, da mettere in luce.
Così, sfruttando i contatti che avevo intessuto in precedenza, ho iniziato a porre le basi di "In Silentio et In Spe Erit Fortitudo Vestra" e a pensarne la sua struttura. L'obiettivo era di dare concretezza a questa mia lunga ricerca e, in secondo luogo, documentare usi, costumi e rituali iniziatici di comunità sconosciute ai più.
Il titolo scelto è di per se già evocativo, parla di Silenzio e Perseveranza (non a caso è tratto da un passo del Libro di Isaia, 30:15) due virtù fondamentali per tutti quelli che seguono, pedissequamente, il voto monastico e le sue specifiche ritualità.
È un lavoro che è arrivato nel momento giusto della mia vita. Non ti nego che, molto probabilmente, se non avessi fatto prima numerose ricerche di natura personale, durate, tra l'altro, una decina d'anni, o stretto importanti legami con chi, quei luoghi, li conosce bene, non sarei mai potuto arrivare a produrre un lavoro del genere. Né per quanto riguarda la struttura finale (un libro diviso in tre argomenti), né per l'accesso totale a quei luoghi avvolti da una coltre di mistero.
I monasteri, come le abbazie, sono ambienti, come sai, spesso inaccessibili al pubblico, a maggior ragione quando si sta svolgendo un rituale iniziatico indirizzato solo all'ordine monastico. Se non sei "uno di loro", o non hai nessuno che ti introduca alle loro ritualità quotidiane, difficilmente puoi prendere parte come pari ai loro riti, e men che meno farlo con una fotocamera in mano.
È stata quindi un'impresa non del tutto avventata, c'era la voglia di approfondire certe tematiche ma anche la consapevolezza di quello a cui sarei andato incontro.
Mi hai brevemente citato la divisione del tuo libro - edito Snap Collective Paris a fine 2023. Il tre, religiosamente parlando, è un numero importante per i cristiani. Mi chiedevo quindi, è una divisione che hai pensato già a priori?
No, io ero partito con l'intento di concentrare il lavoro totalmente sull'aspetto esoterico della vita monastica. Era la parte che mi interessava di più. L'idea della tripartizione del progetto mi è venuta in mente dopo, durante il mio soggiorno negli spazi dell'Abbazia di Monte Oliveto. Lì, guidato dagli olivetani in un cantina del vino magnifica, sottoterra, tutta mattonata ed adornata per accogliere una sorta di biblioteca del vino con bottiglie di centinaia e centinaia di anni (partono dal 1400), ho letto delle frasi che mi hanno colpito molto e fatto pensare alla possibile struttura finale di In Silentio et In Spe Erit Fortitudo Vestra.
Queste frasi erano sparse in giro per la cantina e messe insieme manifestavano perfettamente la realtà in cui mi trovavo: religiosa, ma anche estremamente umana. Queste erano: "ora et labora", "i monaci benedettini" e il "perché tutto sia glorificato a Dio". In poche parole, gli abati ci stavano dicendo chi erano, cosa facevano e il perché lo facevano. Mi è piaciuta parecchio questa narrazione in crescendo - dalla materia allo spirito - e ho pensato di trasportarla in fotografia.
Ogni sezione del mio libro racconta infatti un aspetto diverso della vita nei monasteri ed abbazie. Le prime due - accorpate in un unico capitolo per una questione grafica e di stampa - si concentrano sulla descrizione dei luoghi e delle attività giornaliere dei monaci, tra cui la coltivazione, la preghiera, la formazione dei giovani adepti e la cura degli spazi comuni, mentre, la terza, la mia preferita, è dedicata totalmente alla spiritualità e ritualità delle comunità monastiche.
La prima fase è quindi, per così dire, più tecnica e documentativa, divisa per comunità e luogo. La seconda, invece, lascia vagare liberamente lo spettatore in queste alcove di religiosità e spiritualità, aprendosi a numerose chiavi di lettura. Una tripartizione, insomma, che acquista molto senso nello scorrere delle pagine e che, per fortuna, grazie anche all'aiuto del mio editore e di amici fotografi, sono riuscito a far funzionare organicamente, rendendo il lavoro più accessibile a tutti.
Hai notato, durante i tuoi soggiorni nei monasteri, delle differenze tra una struttura e l'altra, in termini sia di spazio che di rituali svolti dai monaci?
Si, parecchie. Spesso si crede che tutte le comunità monastiche siano uguali. In realtà, ogni ordine è caratterizzato da rituali, programmi e simboli specifici. Si parte dai vestiti indossati durante le fasi di preghiera e lavoro - che differiscono per colore e manifattura - fino agli oggetti religiosi, come croci, icone e benedizioni.
Prendiamo ad esempio il rosario. Se non mi fossi documentato per bene, non avrei mai saputo della sua differente forma e lunghezza per ogni ordine monastico. È una di quelle cose che diamo per scontate, eppure rappresentano un importante tratto distintivo, soprattutto tra ordini, simili per dogmi, ma nati in epoche diverse. Nel libro, ho voluto infatti rendere evidente questa cosa, mettendo tre rosari uno dopo l'altro. L'impatto visivo mi è sembrato subito straordinario.
In tal senso, la fase di studio iniziale mi ha dato una grossa mano a discernere e capire tutte queste differenze. Documentarsi in anticipo mi ha permesso di essere presente nei luoghi e nei momenti giusti - in alcuni casi a rendere anche più chiaro ai monaci quali fossero i miei obiettivi - e, soprattutto, a concentrare gli sforzi su fotografie che potessero mostrare chiaramente le peculiarità di ogni ordine e rito.
C'è un monastero in particolare che ti è rimasto impresso?
Bella domanda. Ne ho girati tantissimi. Ho fotografato all'incirca 18 monasteri. Soggiornavo lì per un massimo di trentasei ore e poi, la sera successiva, mi spostavo a quello successivo. Ti dirò, ad avermi colpito, più che strutture nello specifico, è stato il cambio di umore e di tenore di vita che differenzia le comunità maschili da quelle femminili. È difficile da spiegare. Seppur entrambe siano accomunate dalla ricerca della propria spiritualità, quelle femminili mi hanno dato la sensazione di una sofferente solitudine, come se fossero state costrette a seguire quella via più che accoglierla come missione. In quelle maschili, invece, questa cosa l'ho percepita meno. Magari è una considerazione prettamente personale, e che non riguarda tutte le clausure, ma mi è rimasta molto impressa a fine lavoro. Per il resto, ogni monastero era speciale ed ho incontrato lì persone fantastiche.
In molte delle tue fotografie c'è un uso quasi estremo delle ombre e del rumore, spesso accompagnate da un mosso lievemente accennato. Queste scelte sono il risultato di considerazioni di natura solo tecnica, o c'è dell'altro?
Le ombre, il rumore fotografico e il mosso, nelle mie intenzioni, sono la diretta conseguenza di voler mostrare qualcosa che va oltre al corpo fisico, che sveli, proprio tramite questa intangibilità dei soggetti, unita all'oscurità che avvolge situazioni, spesso, misteriose, la spiritualità e l'energia di questi luoghi e individui.
Per arrivare a manifestare, organicamente, il passaggio dal fisico allo spirituale, ho impostato il libro in modo tale che accogliesse, già dalle prime pagine, lo sguardo di un pubblico generalista (tramite fotografie più leggibili e concrete) per poi arrivare ad inserire, con estrema cautela, il mosso e le ombre e far esordire così l'ultima sezione del libro, più criptica e profonda: quella sulla ritualità monacale.
Non a caso, le fotografie destinate a mostrare le attività quotidiane dei monaci e gli ambienti in cui si muovono (prima parte del libro) hanno una struttura più formale, regolare, proprio perché legata all'essere "pietre grezze, non ancora perfezionate del tutto". Sono immagini, come ti dicevo, più da reportage classico, comprensibili anche agli occhi dei meno avvezzi al tema. Le altre invece, quelle destinate al capitolo sulla spiritualità, elevano considerevolmente il livello e le argomentazioni, mostrandoci l'imperscrutabilità dei riti e l'elevarsi dell'anima.
Il tema della spiritualità è un tema che mi affascina particolarmente. Già dai miei primi soggiorni nei monasteri percepivo la sontuosità e la gravità di certi ambienti e cerimonie. Soprattuto la notte, mentre mi sforzavo di riscaldarmi con quel poco che avevo. Era come se quegli spazi fossero ricolmi di una conoscenza millenaria, energie invisibili, talmente forti, da riempire, saturandone l'aria, ogni parete.
L'immagine di copertina del libro, ad esempio, è emblematica e spiega bene le sensazioni di cui ti parlo. L'ho scattata a fine di una cerimonia. Mi trovavo in mezzo a questi due cori di monaci in uscita. L'inquadratura, da quella posizione, era splendida: al centro, l'organista nel pieno della sua estasi musicale; ai lati questo flusso di persone, che come entità astratte, lasciano la sala, in religioso silenzio. L'ho trovata subito una scena molto toccante. Ho scattato otto volte, con un tempo di esposizione di 1/4 di secondo per evidenziare il movimento dei monaci e la fermezza del musicista. C'era tutto lì dentro, l'uomo e lo spirito, la perfetta trasposizione del passaggio dal mondo fisico a quello spirituale. Non avrei potuto fare, o pensare, di meglio. Era l'immagine perfetta per aprire il racconto.
Immagino che gestire il rapporto con i tuoi soggetti, in un contesto del genere, fatto di regole e di imposizioni, non sia stata un'impresa facile
Non è stato facile. Erano sfuggenti, diffidenti. E li capisco pure. Chi segue un voto monastico si aspetta di poter cercare la propria spiritualità all'interno di un contesto protetto, lontano da stimoli esterni e che rispetti le abitudini di ognuno di loro. Vedere un fotografo che inaspettatamente fa capolino in cerimonie prima aperte solo ai seguaci del culto, può infastidire e rovinare il percorso iniziatico.
Per questo, ho sempre seguito tutte le cerimonie ed attività con grande diligenza e rispetto. In ogni monastero, prima di fotografare, ho raccontato ai monaci chi ero e cosa avevo intenzione di fare. Solo dopo le mie parole, e l'introduzione da parte degli abati, ho preso la fotocamera in mano ed iniziato a scattare le mie immagini. Sono rimasto, quindi, perlopiù invisibile ai loro occhi e ho colto tutto sul nascere, senza imporre delle pose e senza chiedere ai soggetti di spostarsi in altri luoghi.
Penso che sia importante mettersi nei panni dei protagonisti delle nostre storie, a maggior ragione se quest'ultimi hanno scelto di seguire una via che per molti potrebbe sembrare inutile od incomprensibile. La vedo come una forma di riguardo, ma anche di consapevolezza delle possibili interpretazioni, positive e negative, che il pubblico potrebbe sviluppare durante la lettura delle immagini.
Io, come ti dicevo, ho studiato approfonditamente il tema. Sapevo cosa e come guardarlo. Questa preparazione mentale mi ha aiutato a vivere con più naturalezza e sensibilità ogni situazione, a coglierne tutte le sue sfumature, fisiche e non. Altri fotografi, molto probabilmente, avrebbero fatto un lavoro completamente diverso.
Sicuramente l'esposizione al pubblico di temi del genere mette il fotografo in una situazione complicata. Il rischio di porre un soggetto in cattiva luce è sempre dietro l'angolo. Insomma, come dici tu, ci vuole una grande sensibilità
Si, proprio per questo, insieme a tante altre motivazioni che richiederebbero la conoscenza della storia dell'esoterismo e del suo rapporto con la Chiesa, non esistono tanti progetti fotografici legati al mondo della religione cristiana. O, almeno, non così dettagliatamente concentrati sui loro simboli, rituali e ordini.
La sensibilità gioca un ruolo fondamentale nel racconto di una storia. Qualsiasi essa sia. Mi vengono in mente, a tal proposito, le immagini di un grande fotografo, Gianni Berengo Gardin. Non parlano di religione, ma spiegano bene il contributo che la sensibilità può dare nella risoluzione di certe storie. In uno dei suoi più struggenti reportage - quello sui manicomi (1968) - Gianni fece tabula rasa di qualsiasi preconcetto sul tema della malattia mentale, per lasciare che fossero le immagini, e i volti di quelle persone escluse dalla società, a parlare. Se in lui non si ci fosse stata la sensibilità di chi capisce che la sofferenza si può manifestare anche nel silenzio e nella gestualità dei soggetti, non avrebbe scosso, con il lavoro, così tante coscienze. Questa cosa continua a farmi riflettere, tutt'ora.
In un'era in cui tutto diventa materia di critica e turismo di massa, mettere in esposizione tematiche e figure del genere non può che presupporre, da parte del fotografo, quel tipo di sensibilità, che ti fa anteporre la storia a te stesso. Senza questi minimi requisiti, difficilmente si può far breccia in ecosistemi già di per se molto chiusi e reticenti. Non posso quindi che ringraziare tutte le comunità che ho fotografato per avermi offerto l'occasione di raccontare una storia come questa.
Come pensi che il pubblico accoglierà questo tuo lavoro?
Non ti saprei dire con certezza. Dovrebbe essere il pubblico a darmi questa risposta. Fotograficamente parlando, posso ritenermi soddisfatto del risultato finale. Sicuramente è un lavoro che esprime curiosità e che documenta bene usi, costumi e rituali dei monasteri più importanti sparsi in giro per l'Italia. Inoltre, mi rende felice sapere di essere riuscito a mettere dentro le immagini tutto me stesso. Spero che questa energia arrivi al pubblico, mentre scorre le pagine del mio libro.
Mi piace pensare che In Silentio et In Spe Erit Fortitudo Vestra possa diventare per tanti una buona porta di accesso a queste dimensioni - quelle dei monasteri e delle abbazie. L'obiettivo, d'altronde, era proprio questo: rendere accessibile un mondo prima inaccessibile alla massa. Credo, grossomodo, di esserci riuscito. Sarà il tempo a darmi conferma. Per ora posso dirti che è stata un'esperienza pazzesca (che tutti, mi verrebbe da consigliare ai lettori di The Street Rover, dovreste fare, anche solo per fini strettamente personali: la spiritualità è una cosa importante).
In futuro, continuerai ancora a raccontare temi religiosi?
Non credo proprio che continuerò su questo filone. Dopo tanti anni investiti su questo progetto, mi prendo una pausa dagli argomenti religiosi. Ora sto lavorando a qualcosa di totalmente diverso, incentrato sul colore e sugli spazi metafisici. Si chiama "Colori sospesi nel tempo. Geometrie di un'isola". È un progetto parecchio complicato, perché richiede la ricerca di luoghi specifici e la luce giusta. Ma, soprattutto, la gestione attenta del colore che per me, bianconerista sfegatato, è un amore ed odio continuo. Insomma, sarà un'altra bella sfida da affrontare.
Chi è Alessandro Giugni?
Alessandro Giugni è un fotografo milanese. Si occupa di fotografia da circa 15 anni. Le sue immagini traggono ispirazione dai grandi della fotografia italiana e dalle scritture religiose. Ama mettere al centro delle sue inquadrature le persone e la società. Trovi altri lavori sul suo Sito Web e Profilo Instagram.