Mi siedo, in un muretto lì vicino, in attesa dell'arrivo di Andrea Petrelli. Oggi l'intervista la faremo qui, lontani dagli schermi e a pochi passi dal mare. Sembra la classica cornice gioviale, dove bere un buon calice di vino mentre si parla del più e del meno, se non fosse che il motivo dell'incontro è un altro: parlare dell'ultimo lavoro di Andrea, nel luogo in cui, quel lavoro, è nato. Mi trovo a San Giovanni li Cuti, una piccola borgata marinara situata ad est della città di Catania. Un luogo dal fascino intramontabile, che accoglie da anni intere generazioni di catanesi e turisti in cerca di un momento di respiro e di quiete lontano dal caos della città.

Andrea è un fotografo di Adrano, ma vive a Catania da ormai 16 anni. La fotografia è per lui «una scoperta, il rompere un pregiudizio che in adolescenza lo aveva allontano dal fotografare perché ritenuta un'arte minore, un congegno privo di qualsiasi forza e bellezza». Nel tempo, quell'amore per l'arte è sbocciato, diventando un pretesto per conoscere la città e raccontarne le sue storie. Proprio qui, a San Giovanni li Cuti, Andrea continua imperterrito a mandare avanti un progetto fotografico che di forza, e bellezza, ne ha molta. "Alle spalle la città" è una serie di fotografie che raccontano la borgata marinara e le splendide persone che la vivono. Un progetto non ancora compiuto del tutto ma già dalle idee molto chiare.

Mi guardo in giro e di quella bellezza raccontata da Andrea la vedo a perdita d'occhio. La luce è splendida e le persone che abitano a contatto con questo ambiente mi sembrano essere le più genuine possibili. Per qualche istante mi lascio scivolare addosso qualsiasi pensiero negativo. Questo luogo riesce ad allietare tutti gli animi turbolenti. Ad interrompermi nei miei pensieri è la stessa voce di Andrea. Mi chiama dal basso. Non faccio fatica a riconoscerlo tra la folla: è l'unico senza costume. In sella alla sua bicicletta mi si avvicina lentamente, mentre i bagnanti, riconosciutolo, lo salutano chiedendogli come sta e il perché si trova lì.

Attraversiamo il molo appena adiacente alla piazza principale, un connubio di cemento ed aiuole con una fontanella dal beccuccio sbeccato e due rampe per accedere al mare. Qui, gli abituali frequentatori di quel sottile lembo di cemento e scogli, stanno prendendo la tintarella, in una di quelle classiche giornate catanesi dove il caldo ti si attacca alla pelle. Faranno una festa di carnevale, dicono, la sera; chiedono ad Andrea di passare, per prendere parte all'evento e scattare loro qualche fotografia. «Verrò a fotografarvi», dice lui. Loro ringraziano, sapendo già che manterrà la sua promessa. Non farlo potrebbe rappresentare un grave errore, per lui che lì, in quella comunità, è diventato il loro "fotografo ufficiale". C'è un'atmosfera di bellissima familiarità e a tratti mi sento anche io parte del gioco.

Con fatica, lo stacco dalla sua gente e lo porto sugli scogli qualche passo più in avanti per fargli qualche domanda e farmi raccontare la sua idea di fotografia.

Intervista
È fantastico vedere l'affetto di questa gente nei tuoi confronti

Si! Anche io a volte me ne stupisco. Ormai San Giovanni li Cuti è diventata per me come una seconda casa. Mi ci trovo a mio agio. Quando posso mi fermo qui qualche ora a scambiare delle chiacchiere con i locali e a scattare alcune fotografie. Sono diventato [ride]: il loro fotografo ufficiale. Pur non essendo di Catania città (nasco ad Adrano), mi hanno fatto sentire subito parte della loro comunità.

Sai spiegarti il perché?

Ma guarda, credo che la risposta più banale sia perché queste persone sono un pò come me, individui che amano stare in compagnia e che apprezzano le semplicità del vivere quotidiano. Entrare in sintonia con loro è stato quasi automatico, fotografarli, invece, un'opportunità poi trasformatasi in altro, in un lavoro fotografico a cui tengo molto e che, per tante ragioni, farò fatica a veder chiuso.

Molti di questi individui sono proprio i protagonisti del tuo ultimo progetto: "Alle spalle la città". Come e quando nasce l'idea di questo lavoro?

Inizialmente per puro caso. Come ti dicevo, amo questo luogo e mi capita spesso di passarci anche solo per godere del suono del mare e della luce che si rifrange sugli scogli. Proprio qui [indica col dito degli scogli] ho scattato alcune delle mie prime fotografie, senza pensare di farne una serie a lungo termine o cercare di trovare, in quelle cornici, chissà quale spiegazione filosofica. Erano immagini che strizzavano l'occhio alla storia dell'arte. In poche parole, funzionavano nella loro auraticità: c'era la gente di spalle davanti al mare e dietro la città lievemente sussurrata. Una formula che ho trovato immediatamente appagante e, se vogliamo, vincente.

Il lavoro, insomma, si limitava a ricalcare questo copione: immagini singole, carine, funzionali. Sarei andato volentieri avanti così. Nelle successive uscite fotografiche ho però capito che alcuni modelli visivi ritornavo prepotentemente nelle inquadrature, andando a definire un possibile collegamento narrativo tra tutte le fotografie scattate in quello stesso perimetro: San Giovanni li Cuti. Proprio da questo sguardo a posteriori ho pensato di farne un progetto, diviso per stagioni.

Ad avermi convinto ancor di più nella scelta è l'aver trovato un ulteriore motivo sociologico, da accompagnare a quello estetico, già molto potente. Da buon fotografo di reportage quale sono - principalmente mi occupo di quello - ho constatato che a San Giovanni li Cuti c'era ben altro da raccontare, un ambiente splendidamente articolato che ci mostra un volto di Catania che è possibile incontrare solo qui. Perché solo qui, il mare, è accessibile liberamente da tutti.

Immagine di © Andrea Petrelli

Devi sapere che San Giovanni li Cuti è tra le attrazioni più rinomate della città. Il motivo della sua fama è dato dalla bellezza del luogo - durante il tramonto raggiunge il massimo del suo splendore - ma anche dall'essere uno dei pochi ambienti in cui è possibile godere liberamente del mare. In passato Catania ha fatto un obbrobrio, decidendo di eliminare il mare dal centro città. Poco tempo fa potevi scorgerlo a pochi passi dal Duomo. Ora letteralmente c'è il cemento, quindi il mare non lo vedi, salvo se non raggiungi la parte est della città. Per tale motivo San Giovanni li Cuti è particolarmente affollata, in qualsiasi stagione dell'anno.

Qua ci trovi qualsiasi ceto sociale, qualsiasi etnia, qualsiasi età, qualsiasi generazione, perché è l'unico punto dove c'è il mare in cinque minuti. Una sorta di bolla multietnica, culturale e sociale che accetta, ed ammalia, tutti gli avventori. Vedi coesistere, in un luogo relativamente piccolo, più persone e più civiltà internazionali. Questa è una cosa tremendamente affascinante, se ci pensi.

Tale fascino mi ha spinto a continuare il lavoro, a perpetrare questa poesia del quotidiano nell'intento di raccontare questo ambiente e, al contempo, di mettermi alla prova, a confronto con un approccio alla fotografia che normalmente non mi appartiene (io sono uno semplice, che va dritto al punto) ma da cui sapevo di poter trarre qualcosa di bello. Mettici pure la buonissima risposta del pubblico, e l'affetto della comunità, e capisci bene che avevo più di un motivo per continuare.

"Alle spalle la città", nel suo insieme, mira a dirci qualcosa di particolare?

Assolutamente no. Racconta le unicità di questo luogo e delle sue persone senza però trarne dei giudizi sommari. Mi piace lasciare libera interpretazione all'osservatore. Non avendo le immagini un appiglio concreto con il reale (il mare e gli scogli sospendono i soggetti in un tempo e luogo indefiniti), si lasciano leggere seguendo le emozioni e i pensieri di ogni individuo. Il bello dell'arte è proprio questo dialogo costante che si crea tra creatore delle opere e il pubblico. Mi piace che qualcuno possa farsi un'idea del lavoro che io non ho minimamente pensato. È come se continuasse così a farlo vivere, a non chiuderlo dentro un unico recinto.

Recentemente il tuo lavoro ha subito degli sviluppi. Prima le tue fotografie avevano una struttura più lineare (scoglio e soggetto che ti dà le spalle), poi nel tempo hai lentamente cambiato approccio, accogliendo, tra i tanti, tagli più da istantanea e ritratti a figura intera. Cosa ti ha spinto a cambiare?

Come per molti dei miei lavori, mi affido totalmente al caso e all'istinto. Mi annoia molto inseguire sempre gli stessi percorsi. Costringermi ad essere coerente, anche quando non lo voglio, non mi piace per niente. "Alle spalle la città" è infatti un progetto in continuo sviluppo. Lo mando avanti da circa due mesi ed ogni volta è una rinnovata scoperta. Son partito inizialmente affidandomi alla pulizia del taglio verticale per poi arrivare a scattare anche in orizzontale, in maniera più spontanea.

Questo perché è la fotografia a chiamarmi. Ogni scena ha un angolo, una luce e delle linee che funzionano più di tutte. Costringersi a non ascoltare questa sinfonia di elementi, per rimanere all'interno di imposizioni di carattere tecnico, è da folli. Si rischia di perdere delle fotografie di straordinaria bellezza. L'unica coerenza del mio lavoro, semmai, è legata allo storytelling: vengono prima le storie e i volti di queste persone che tutto il resto. Poi si, se estetica e storia coincidono tra loro ben venga, son felice, ma credo che il messaggio sia più importante di ogni altra cosa.

Conoscevi già i tuoi soggetti prima di iniziare il lavoro?

No, ho imparato a conoscerli nel tempo. Ad inizio progetto scattavo senza farmi notare. Poi la curiosità della gente (mi vedevano lì ogni giorno alle stesse ore), e la mia volontà nel voler conquistare, fotografia dopo fotografia, la loro fiducia, mi ha spinto ad aprirmi e a renderli partecipi. Prima era più un mordi e fuggi.

Te lo chiedo perché oltre al taglio fotografico, trovo che hai variato nel tempo il modo di coinvolgere i soggetti nella scena. Prima solo comparse evanescenti ed ora protagonisti davanti l'obiettivo. Penso sia dovuto al fatto che ora conosci tutti di persona e senti di poterti nascondere di meno. Ti chiedo quindi, pensi che questo rapporto che hai stretto con loro abbia influenzato negativamente il tuo modo di fotografare? Lo ha reso meno forte?

Ti direi di no. Al massimo, si è raddoppiato il lavoro. Se prima scattavo in totale autonomia a favore delle tenebre (l'anonimato tipico del fotografo di strada) ora mi ritrovo a scambiare qualche parola con loro e a mostrare il frutto del mio impegno. Questo comporta ritagliarsi dei momenti in cui si producono le proprie fotografie per il progetto e quelli in cui mi rendo disponibile per scattargli qualche foto ricordo da postare sui Social Networks o da custodire nelle proprie case estive.

Immagine di © Andrea Petrelli

Non è cambiato quindi granché nel mio approccio. Mi sento solo ora più responsabile delle immagini che produco e del dono che giornalmente queste persone mi fanno. Con grande semplicità e gioia si prestano al gioco. Mi chiedono di trasformare la loro intimità e fragilità in bellezza senza chiedere nulla in cambio. Una cosa che mi riempie il cuore di speranza e mi fa amare di più questa comunità.

Quello dei bagnanti è un tema ricorrente nel mondo della fotografia contemporanea. Alcuni italiani, tra cui ti cito due fotografi di strada che conoscerai molto bene, Daniele Vita e Robbie McIntosh, ne hanno fatto dei lavori a lungo termine; lavori che riescono, a parer mio, pienamente nel loro obiettivo: raccontarci lucidamente un volto della città, anche se non ci piace riconoscerlo come tale. Chiedo quindi anche a te, come si affronta un tema così importante senza ricadere in maschere o in scivolosi pregiudizi?

Ammiro tantissimo il lavoro di Daniele e Robbie. Da fotografo non posso che guardare al loro operato con una sana e cocente invidia. Sono bravissimi. Per quanto riguarda me, invece, cerco di stargli dietro, come meglio posso [ride].

Nel caso di "Alle spalle la città" non è mai stato un problema quello delle maschere e dei pregiudizi. Ho sempre affrontato tutto con straordinaria naturalezza. Quello che si vede nelle mie fotografie sono i soggetti nelle loro pose naturali. Non fanno boccacce, né mimano qualcosa. Si prestano alla mia macchina fotografica come si presterebbero a qualsiasi altra persona che vuole scattargli una fotografia. Il che va bene, fa parte di quel concetto che permette una "libera interpretazione del tema".

Molto probabilmente è l'atmosfera stessa del luogo a concedermi questa naturalezza e tranquillità. In altre parti d'Italia vengono fuori ulteriori fili narrativi, collegati alle città e alle culture che la abitano. Qui, a Catania, i bagnanti di San Giovanni li Cuti si dimostrano essere particolarmente amichevoli e riservati. Sono proprio queste loro caratteristiche e storie a renderli unici nel loro genere.

D'altronde, tolte quelle, rimarrebbe un tema privo di qualsiasi novità. In fotografia, diciamocelo chiaro, è già stato fatto più o meno tutto. Trovare un punto di vista innovativo è parecchio difficile. Per questo credo che il passaggio da una narrazione totalmente legata all'ambiente, ad una concentrata sulle persone, abbia migliorato di molto il mio lavoro. Gli ho dato una cornice. Mi ci riconosco di più.

Credo anche io che sia così, seppur rimangono molto belle anche le tue prime immagini più oniriche e paesaggistiche. Trasmettono una grande tranquillità. Non a caso, quest'ultime, sono molto apprezzate anche dal pubblico online. Lo dimostra il recente crowdfunding che ha dato vita alla prima mostra ufficiale di "Alle spalle la città". Ti aspettavi di ricevere tutto questo affetto?

Assolutamente no. Mi ha stupito ricevere così tante donazioni, soprattutto da persone che non conoscevo personalmente. Approfitto di questo spazio per ringraziarle tutte, perché mi hanno permesso di fare una cosa tanto bella quanto inaspettata. La mostra è infatti nata per puro caso. Non avevo intenzione di farne, finché il lavoro non fosse stato completo. Poi una ragazza conosciuta per caso ad una manifestazione mi ha convinto della bontà del progetto, e così ho accettato.

Non ti nascondo che ho avviato il crowdfunding come sfida personale. Mi sono detto "proviamoci, alla fine non costa niente". Ho fatto il crowdfunding alle 8 di sera, sono andato a letto e l'indomani ho trovato quasi 1500 euro di donazioni. L'ho dovuto bloccare, perché già avevo superato le spese di produzione. Direi che mi è andata benissimo. Il pubblico aveva dimostrato ampiamente il suo interesse.

Come hai pensato la curatela della mostra?

Ma guarda, io sono di quelli che odia dover pensare a come mettere le proprie fotografie in mostra. È più forte di me. Mi annoia, non sono bravo a gestire questa componente della fotografia e per questo mi affido a chi è più bravo di me. Per fortuna ho tanti amici preparatissimi nella curatela. Mi hanno dato una mano per la mostra aiutandomi a scegliere le fotografie, la loro disposizione e le stampe.

Immagine di © Andrea Petrelli

Le mostre sono state due. Una all'interno degli spazi di Piazza Scammacca (10 fotografie più un video documentario), ora conclusasi, ed una a cielo aperto, con stampe esposte sul muretto antistante il luogo in cui i bagnanti prendono il sole. Quest'ultima mostra è ancora visibile, a disposizione di tutti, finché il sale marino, il vento o la pioggia la vorranno lì. Sono sei immagini, formato A3.

Le fotografie, in entrambi casi, ripescano a pieno titolo dal mio archivio. Ci sono i paesaggi di partenza ma anche i ritratti a figura intera. Pur essendo stata una cosa totalmente improvvisata, sono molto contento del risultato e ringrazio chi è venuto, anche solo per qualche istante, a vederla e a condividere con me le sue riflessioni in merito. A volte è bello stupirsi della bontà e dell'affetto della gente.

Che emozione hai provato a vederle esposte?

Emozioni fortissime. A parte l'affetto delle persone in sala (mi hanno fatto stare bene), amo vedere le mie fotografie stampate. Mi permette di rivalutarle nella loro interezza. La stampa cambia completamente l'affetto che proviamo per alcune nostre fotografie. Ce le fa amare di più od odiare subitamente. Tutti, a parer mio, dovrebbero tornare ad apprezzare la stampa. Poi si, ora ho il camper pieno di stampe e cornici. Vederle ogni giorno me le sta rendendo detestabili. Mi verrebbe da gettarle dalla finestra, ma questo è un altro problema da affrontare [ride].

Immagino questa sia solo la prima tappa di un lungo viaggio. Dove vuole arrivare Alle spalle la città? Hai già pensato ai suoi prossimi sviluppi?

Questo è solo l'inizio. Sto pensando ad un libro, ma ancora è presto. C'è molto da da fare e da dire qui in giro. Per ora mi concentro sul portare a termine il lavoro e poi si vedrà. Spero di poter completare il tutto nei mesi successivi e vedere San Giovanni li Cuti toccare il cuore di più persone possibili: se lo merita, come se lo meritano queste persone. È un progetto personale e come tale voglio portarlo avanti con grande tranquillità. Mi godo il percorso e le esperienze che nasceranno.

In ultimo, cosa consigli a chi vuole raccontare una storia come la tua?

Consiglio di essere sinceri, onesti, il meno retorici possibile. Ma soprattutto: aprite gli occhi, perché come ci raccontano alcuni tra i più grandi fotografi siciliani, c'è sempre qualcosa da dire a pochi passi da casa nostra. Trovatela e raccontatela. A volte, le idee più banali, possono trasformarsi in grandi racconti senza tempo. Guardate me. Io ero venuto qui per fare questa intervista e ora andrò a fotografare un gruppo di persone vestite a festa. Chissà cosa potrà venirne fuori...

Chi è Andrea Petrelli?

Andrea Petrelli è un fotografo siciliano. Da svariati anni racconta Catania e le storie di chi la abita e la protegge. Si occupa principalmente di reportage, ma nel tempo libero lavora anche a progetti personali legati al ritratto e alla fotografia di strada. Uno dei suoi ultimi lavori è "Voci Lontane", incentrato sulle periferie e la vita dei boxer fuori dal ring. Trovi altro di lui sul Sito Web o Profilo IG.

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