Internet è un posto magnifico. Ne ho avuto l'ennesima conferma, qualche settimana fa, entrando totalmente a caso a contatto con il lavoro di un grandissimo, e sconosciutissimo, almeno per il pubblico, fotografo di strada italiano: Caio Mario Garrubba.
So per certo che il suo nome, quasi uno scioglilingua difficile da pronunciare, ti dirà molto poco: di lui non ne abbiamo mai sentito parlare, salvo in rare occasioni in cui l'Istituto Luce, ente che si è occupato dell'intera catalogazione di tutti i suoi negativi, ne ha iniziato a pubblicare i lavori online e a metterli in mostra.
Neanche io, da anni vicino alla storia della fotografia di questo genere, ne ero a conoscenza - faccio mea culpa - e prima di tutto questo forte interesse nei suoi confronti, scaturito negli ultimi mesi dalla voglia di riportare alla luce una produzione degna di nota, era anche agli occhi del pubblico un fantasma, un fotografo come altri.
Ma chi era realmente Caio Mario Garrubba?
Caio Mario Garrubba è stato un fotografo di reportage tra i più prolifici sul mercato. Ha raccontato - come riporta la stessa Wikipedia - il comunismo della speranza in Cina e Russia, e ha collezionato, durante le sue infinite camminate in giro per il mondo, circa 100.000 immagini di strada.
La definizione di fotografo di reportage, seppur ideale, lasciamelo dire, gli sta abbastanza stretta. Caio Mario Garrubba ha da sempre concepito il suo ruolo come un ruolo importante, improntato alla riflessione e alla documentazione, senza recinti, della realtà.
Questa sua drasticità di intenti lo ha portato a rifiutare le lusinghe di Henri Cartier-Bresson, e della Magnum Photos (si, proprio lei!), e a collaborare solo con alcune riviste specifiche, come LIFE, il Mondo e Panorama.
La sua decisione di essere libero, in tutto e per tutto, lo ha probabilmente penalizzato, non permettendogli di raggiungere, almeno in Italia, il pubblico che meritava - seppur lui stesso ammise più volte di non lavorare per il solo successo.
Poche commissioni ma tutte profondamente significative: di lui ne hanno parlato in tanti, soprattutto all'estero, ma delle sue immagini, come puoi ben vedere tu stesso dal poco materiale che sono riuscito a recuperare online, ne abbiamo iniziato solo ora ad apprezzarne lo splendore, la nitore.
La biografia di questo autore ci dice già qualcosa del personaggio, non più così misterioso: un uomo diligente, concentrato sul lavoro, ma anche una personalità emotivamente forte, connessa alla vita.
Caratteristiche che ritroviamo anche nelle sue immagini, forti, loquaci, apparentemente predisposte ad attirarci e a renderci spettatori attivi di immaginari che non mirano ad essere spettacolari, ma che nel profondo, come un buon libro dalla copertina anonima, lo diventano.
Ora, ti invito a guardarle, a scorrerle davanti al tuo schermo, e a concentrarti su ogni porzione di questi immaginari per cogliere cosa davvero renda Caio Mario Garrubba un fotografo che non può più essere trascurato.
Il suo stile sottolinea una profonda attenzione, e un'irriducibile rispetto, nei confronti del genere umano. Caio riesce sorprendentemente a muovere qualcosa anche negli animi più imperturbabili, anche in coloro che della fotografia di strada non ci hanno mai capito niente.
Mi piace pensare a queste inquadrature non come vere e proprie prese di posizione sul mondo, come ci raccontano di doverle interpretare nelle scuole di fotografia, ma come delle continue interrogazioni sul vivere quotidiano, degli inframezzi di storie che non sapremo mai come andranno a finire.
Le sue immagini ci parlano di vita, delle sue innumerevoli sfumature, e lo fanno con una semplicità, immediatezza, e forse modestia, difficilmente riscontrabili altrove: superano, di gran lunga, molte delle produzioni di quel periodo e, sotto alcuni aspetti, anticipano un modo di fotografare che esploderà, da lì a poco, negli anni '50 e '60.
Tano D'amico, che ha curato i testi di alcune delle mostre di Garrubba in Italia, ha definito le sue fotografie come delle suggestioni visive che prendono vita, davanti a noi, appena ci si avvicina con quella predisposizione d'animo tipica dei bambini: aperta alla curiosità e alla conoscenza del mondo.
Sono, a tutti gli effetti, uno scrigno, pronto a dischiudersi, a rivelarci, al momento del contatto visivo, tutta la struggente bellezza della vita; premonizioni di istanti destinati a confluire nel tempo e a rimanere impressi nella mente.
Capire il perché di queste affermazioni è semplice.
A funzionare nelle sue fotografie, oltre a questi visi sempre così espressivi e comunicatori, c'è questa capacità di aver compreso, prima di molti altri, come il reportage potesse diventare ben altro che una mera documentazione di un evento o di una manifestazione pubblica.
Fotografare per Carrubba è quasi come una forma d'arte, un modo per conservare e perpetrare un segno del passaggio del tempo senza però contaminarlo, inquinandolo con inutili orpelli.
Nella produzione di Caio Mario Garrubba abbiamo la sensazione di starci trovando di fronte ad una narrazione multiforme, che mette dentro la cultura, la vivacità e la varietà di tutti i popoli del mondo.
Non c'è l'evento singolo o la manifestazione specifica al centro della sua ricerca, ma la quotidianità delle cose, vista attraverso le strade cittadine in cui tutto si svolge, si consuma e si crea nello stesso momento: il palcoscenico più reale che possa esistere - e anche quello più struggente.
Un reportage fluido, che si mischia meravigliosamente con la fotografia di strada dando forma ad un modo di comunicare e di narrare la nostra epoca che non ha eguali, neanche nei francesi a cui siamo tanto affezionati.
La società, vista sotto questa lente di ingrandimento, diventa altro: un diario personale di vicende vissute; sperate; sognate. In una frase: l'umanità nuda e cruda di fronte a se stessa.
Caio Mario Garrubba è un fotografo di strada a tutti gli effetti e pensare che di lui conserviamo ad oggi poco più di 100.000 immagini ci deve far riflettere su come questo genere possa essere scrupoloso, attento e ben pensato pur rimanendo nella totale libertà delle nostre azioni.
Fotografare è una forma di liberazione, ma questo non significa consumarne velocemente ogni beneficio scattando fotografie a più non posso. Si possono raggiungere ottimi risultati - professionali ed umani - anche prendendosi una pausa, cercando di osservare quello che ci circonda con maggior profondità, con più empatia.
Le strade accolgono costantemente espressioni di vita e tornare dentro a queste manifestazioni con la giusta predisposizione d'animo, e preparazione tecnica, non può che aiutarci a conservare, scegliere e dedicare le nostre attenzioni solo a quello che merita di essere preservato, diffuso.
Fotografare per noi stessi e per chi vorrà prendere parte a questo gioco. Senza limiti. Senza preconcetti. Senza sensazionalismi del caso. La filosofia di Caio Mario Garrubba è un regalo incommensurabile per noi appassionati di fotografia.
Scoprirlo è stato il dono più bello di quest'anno.