Bene. Mi avete fotografato mentre bevevo da questa bottiglia, e ora, andrete a sviluppare i vostri rullini dicendo in giro di aver visto il vostro professore bere di nascosto dell’alcol durante la lezione. Ma non mi avete chiesto cosa c’è in questa bottiglia. È una bevanda analcolica e voi, cari studenti, siete dei pessimi fotoreporter.
– Eugene Smith
Credo che non ci siano parole adeguate per poter definire la straordinaria carriera di un uomo che ne ha viste di tutte i colori come Eugene Smith.
Il fotografo di origini inglesi ha registrato con la sua macchina fotografica alcuni degli eventi più importanti dell’intera storia umana, toccando, con la sua profondità d’animo, e con il suo occhio sensibile, temi ancora oggi in forte discussione.
Eugene Smith è stato inoltre un grande professore all’Università dell’Arizona. I suoi studenti lo ricordano perfettamente per i suoi insegnamenti atipici ed eccentrici e, in particolare, per questo esperimento della bottiglia.
Ma cos’ha fatto Eugene Smith per destabilizzare così tanto i suoi studenti?
Eugene Smith ha semplicemente sfruttato a suo favore quella che è una delle armi più pericolose della fotografia: il suo essere portavoce di verità assoluta. Il suo esperimento è al limite dell’inverosimile, quasi ambiguo, ma la sua efficacia è indiscutibile.
Tutto parte da casa sua. Il fotografo ha svuotato una bottiglia di whisky, lasciando il logo dell’azienda in bella vista, e l’ha riempita di una bevanda dello stesso colore, ma analcolica. Ogni giorno, per creare un certo sospetto tra i suoi studenti, la usciva dalla sua borsa e, con fare circospetto, ne beveva dei sorsi, per poi riporla nel suo contenitore.
I suoi studenti, abituati a portarsi la macchina fotografica a lezione, dopo qualche tentennamento, hanno iniziato a fotografare, prima di nascosto, poi in maniera più evidente, quel rituale raccapricciante, sconvolgente, pensando di aver colto in flagrante il grande fotografo alle prese con una crisi di identità.
Ma si sbagliavano di grosso! La bottiglia era innocua e quelle fotografie, ormai passate per chissà quali straordinari viaggi mentali, erano delle mine pronte ad esplodere da un momento all’altro.
Eugene Smith, con questo semplice esperimento, ha insegnato ai suoi allievi come il ruolo del fotoreporter sia un ruolo molto complicato, complesso e da non prendere sotto gamba.
Se devi fotografare, narrare o parlare di un evento, non puoi farlo senza prendere una posizione o senza conoscere il soggetto, la cultura e il momento storico che stai per ritrarre. Si rischia, al contrario, di andare a comporre una realtà che non esiste, corrotta e faziosa, e che mette a repentaglio la vita, e la reputazione, di un uomo o di una donna.
Un esperimento nudo e crudo, ma che ci parla senza troppi fronzoli della realtà della comunicazione e della pericolosità, in mani dissolute, dello strumento fotografico. Perché la fotografia, caro mio, è una questione di responsabilità e non tutti sono in grado di sostenerne il peso.