Un contributo al teatro della moda dove talvolta lo spettacolo più interessante si svolge fuori, tra il pubblico nelle strade.
La mia ultima intervista a Massimiliano Faralli risale a quattro anni fa.
Sembra passato un secolo. In quel periodo tutti noi pensavamo all'immagine singola come fine ultimo del nostro operato, un sussurro etereo nell'aria che avrebbe portato, al massimo, ad una mostra o ad una pubblicazione su qualche rivista. Nessuno avrebbe mai pensato che la fotografia di strada, quella contemporanea, potesse ottenere altro.
Sono arrivati poi i festival, a partire da quello di Roma fino a quello di Sanremo. Sono arrivate le riviste di settore, incentrate in questo mondo e volenterose di sostenerne autori ed espressioni. È arrivato il crowdfunding, la forma più difficile e democratica di pubblicazione dei propri lavori cartacei.
Siamo maturati insieme a questo movimento e come tali abbiamo iniziato a riconsiderare le nostre priorità e a fare ordine nel nostro lavoro. Ordine, che in fotografia, combacia spesso con qualcosa di bello: un libro, nello specifico.
Massimiliano ha da poco pubblicato il suo - il primo di tanti - ed era quindi naturale per me ritornare a parlare con lui di fotografia e dell'ambiente, quello della Fashion Week, in cui ci ha speso parte della sua vita.
Intervista
Sono passati anni dal nostro ultimo incontro. Com'è cambiato, da quel momento, il tuo l'approccio alla Fashion Week, l'ambiente in cui tutti hanno iniziato a conoscerti?
E’ cambiato di pari passo al mio modo di fotografare. I primi approcci erano acerbi, inconsapevoli, costruiti come ricerca di un’immagine singola. Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che questo lavoro potesse essere qualcosa di più importante, una sorta di documento sociale da mostrare al pubblico esterno.
Questa cosa ha cambiato il mio modo di raccontare la moda nelle strade di Milano e del mondo, senza minare però quell'entusiasmo, rispetto e coerenza che hanno contraddistinto da sempre la mia fotografia e il mio lavoro.
La tua è una vera e propria ossessione per lo spazio moda. Mi sono sempre chiesto, che rapporto hai con questo mondo?
Non sono un esperto, ma mi sento vicino, come fotografo, a questo ambiente. Ho sempre seguito ed apprezzato, fin da ragazzo, la fotografia di moda e i suoi autori. Ritengo la settimana della moda e il popolo della moda un interessante spaccato della cultura e della sociologia attuale del nostro paese. Per questo, quando c'è qualche evento in giro per l'Italia, cerco di non perdermelo.
Dall'esterno sembra tutto una bolgia. Tanti fotografi, flash e modelle che occupano ogni minimo centimetro quadrato delle strade alla ricerca di un minuto di notorietà. Lo spazio per fotografare, o solo guardare, sembra pochissimo, se non inesistente. Come fare, quindi, a rendere originale una fotografia scattata lì?
Recentemente, il mio lavoro sta virando sul raccontare, con l’attitudine del fotografo di strada, eventi moderni e mondani in chiave sociologica.
Il mio racconto sulla Fashion Week, ad esempio, non mostra la vita o il lavoro di uno stilista dentro il suo atelier, ma la gente attorno all'evento, privilegiando, ai fini del mio racconto, i loro gusti, gli atteggiamenti e le loro manie.
Provo affetto per tutto ciò che rappresenta quell’ambiente. L’atmosfera, i luoghi, le persone: sono loro i veri protagonisti delle mie fotografie. Penso che la passione e il rispetto siano i sentimenti più evidenti nelle mie immagini, pertanto le scene e le situazioni che preferisco sono quelle che riconducono a tali considerazioni.
Un buon modo per orientare la storia è descrivere i desideri del personaggio.
I desideri sono alla base di tutto, appena li hai individuati devi essere pronto e in grado di saperli comunicare al pubblico, così da permetterti di stabilire una connessione emotiva ed umana con loro e con la storia che stai raccontando.
Questo deve avvenire sul lato narrativo, con la scelta delle situazioni più avvincenti, ma anche su quello formale, con la ricerca di inquadrature pulite che sappiano trasmettere le sensazioni avvertite al momento dello scatto e i sogni reconditi di chi ti sta davanti all'obiettivo.
Attraverso le mie fotografie spero di trasmettere questo, come anche la mia passione, il mio entusiasmo, l’armonia e la serenità che provo in quei momenti. Per certi versi, la mia Fashion Week, è diversa da tutte le altre.
Come credi si rapportino le persone, e i fotografi, a questo ambiente?
Dipende. Per quello che so e che vedo c'è un profondo egotismo che alimenta la messa in scena, ma anche molta dignità e passione che spinge giovani da tutto il mondo a mettersi in gioco. È un mondo effimero, veloce, narciso, un ambiente in cui è facile farsi abbindolare dalle apparenze. Sotto sotto, però, c'è ben altro.
Fashion Week/Fashion Trip, il tuo ultimo libro in uscita, cerca proprio di far breccia in questo sottile dualismo tra apparenza e sostanza. Come nasce l'idea di questo volume?
Il libro nasce da un incontro con la redazione del Magazine Cities - curata da Angelo Cucchetto - che ha scelto il mio lavoro come numero di apertura di una nuova collana editoriale dedicata agli autori di strada contemporanei.
Negli anni ho sviluppato la convinzione che a portarci a scattare fotografie di strada siano, non solo, il desiderio di raccontare il mondo attraverso la nostra lente di ingrandimento, ma anche la necessità di capire chi siamo veramente.
Se questo passa in secondo piano durante le nostre prime avventure fotografiche, con la maturità artistica germoglia in noi l'urgenza di mettere ordine nel nostro archivio e di perseguire un percorso fotografico che abbia un significato.
Fashion Week/Fashion Trip è stata così l'occasione per affrontare questo ennesimo passo del mio percorso ed alzare l'asticella della mia produzione fotografica, non più ora solo legata alle immagini singole.
Ho cercato di raccontare la stratificazione di questo evento, documentando i costumi, i volti, i cangianti attori-spettatori lì presenti, nelle loro pose istrioniche o stupite, per restituire al pubblico l’atmosfera di festa e quei sorrisi di pura felicità.
Tecnicamente parlando, come hai ricercato tutto ciò?
Nelle mie immagini, tutto è casuale. Cerco di mettere i personaggi a loro agio. Lavoro intorno al soggetto per trovare il momento e l'angolo di scatto migliori. In questo progetto ho cercato di evidenziare la loro voglia di protagonismo, il voler essere parte di quel sistema, sulle passerelle in strada, sui marciapiedi.
Non instauro con i personaggi un rapporto, tutto finisce in quei pochi istanti. È proprio questo che caratterizza il mio lavoro: tutto sembra vero, professionale: i soggetti si atteggiano come star della moda ma non lo sono. Cerco con la mia fotografia di rendere reale un loro desiderio seppur temporaneo.
Immagino che restituire tutto questo, in un libro, non sia stata una passeggiata. Come hai gestito tutta la fase di editing?
Avevo tanto materiale sul tema. Le maggiori difficoltà sono state quelle della scelta delle fotografie per la formazione della struttura narrativa. E’ un libro con molte immagini, caratterizzato da varietà, equilibrio e ritmo narrativo.
Uno dei principali obiettivi dello storytelling è suscitare emozioni e connessione emotiva con il pubblico. Le storie che cercavo dovevano far provare stupore, curiosità, interesse, ma anche divertimento, tristezza, suspense (o qualsiasi altra emozione connessa ai temi e agli eventi narrati).
Con il libro nasce l’esigenza di affermare una certa obiettività nei confronti dei soggetti e degli eventi, un qualcosa di riconducibile più alla fotografia documentaristica, che a quella di strada. Questo non mi ha fermato nella selezione, anzi, mi ha dato modo di vedere il mio lavoro sotto un altro punto di vista.
La distinzione legata al rigore, alla qualità estetica, al concetto di bellezza ed unicità, tipico della fotografia di strada, è rimasto intatto all'interno della pagine, acquisendo in più, in questo nuovo contenitore, un valore di messaggio sociale.
Grazie ad Angelo, e a tutto lo staff di CITIES che mi ha aiutato, mi posso ritenere più che soddisfatto. Sono contento di quello che ne è uscito fuori.
Il libro è già disponibile?
Sono gli ultimi giorni per il crowdfunding. In questo momento è possibile preordinarlo in diverse versioni, tra cui una Deluxe ed una con inclusa l'iscrizione al mio prossimo workshop a Milano, l'ultima settimana di Settembre.
Sarà un modo per portare i miei studenti in quei luoghi - la Fashion Week - in cui ho realizzato questo progetto e fargli vivere così insieme a me, e con il loro sguardo, quelle situazioni e quei personaggi che ho raccontato per anni.
Tornerai quindi a scattare ancora alla Fashion Week?
Assolutamente si. Il mio legame con questo ambiente non finisce qui. La maturità artistica mi ha cambiato in questi anni e lo farà sicuramente nei prossimi. Ci saranno quindi nuove esperienze, nuove visioni. Le uniche cose a rimanere immutate saranno il gusto di esserci e di raccontare, a modo mio, le cose.
Chi è Massimiliano Faralli?
Massimiliano Faralli è un fotografo di origini toscane. È laureato in architettura. Racconta da anni le vicissitudini dei principiali eventi mondani, in chiave fotografia di strada. Trovi altre sue fotografie su Instagram.