"Fiorin Fiorello" celebra il valore delle radici famigliari. In poche ma struggenti visioni, Vito Dell'Orto ci accompagna nel suo personale album di ricordi
In un passo cruciale di "Alla Ricerca del Tempo Perduto", Marcel, il protagonista dell'opera letteraria più famosa di Proust, porta alle labbra un sorso di tè, accompagnato da un pezzetto di madeleine (dolcetto francese a forma di conchiglia) precedentemente inzuppato nell'infuso. In quell'attimo, come se un fulmine a ciel sereno lo avesse colpito, Marcel viene invaso da una strana sensazione, una crescente e calda energia che da dentro lo trascina verso una consapevolezza rivelatrice: quella madeleine, così dolce e soffice, le ricorda la cara Zia Léonie. Un volto che aveva dimenticato e che in quell'istante è tornato a splendere davanti a lui.
Prende il nome di "Sindrome di Proust", quella sensazione che molti di noi percepiamo quando un sapore, un odore, un oggetto o un volto ci catapulta immediatamente nel nostro passato. Il nome, a parer mio, non gli rende tanto onore. Sembra dare al ricordo il ruolo di antagonista. E forse per molti lo ha. Tuttavia, quello vissuto da Marcel non è un supplizio, bensì una vera e propria epifania di sensi, che un'immagine evocativa dopo l'altra, lo riconduce in un sentiero lastricato di significato: attraverso il ricordo della Zia Léonie, Marcel ritorna a sorridere e a comprendere l'importanza della famiglia.
Una sotto forma di benessere, quella generatasi in Marcel, che ha origine anche nell'immagine della sua infanzia, e che vede molti di noi, ognuno con le sue esperienze, e attraverso le sue parole, partecipi della costruzione di un desiderio universale: quello di «custodire il più possibile, finché il tempo ci darà modo, la memoria dei nostri cari»; per non veder sparire la nostra Zia Léonie.
Fiorin Fiorello, di Vito Dell'Orto, è un omaggio ai genitori del fotografo. Dopo tre decenni passati fuori casa, Vito ritorna in Sicilia (Giarre) per riallacciare il rapporto con i suoi e recuperare il tempo perduto. A fargli da compagni, in quello che oltre ad essere un viaggio fotografico, è un tragitto emozionale, una vecchia canzone, che gli cantava la nonna, e un album di famiglia, che Vito custodisce come se fosse un figlio più vecchio di lui: le sue personali e dolci madeleine.
Fiorin Fiorello è un progetto nato dal desiderio di riassaporare certe sensazioni che solo la famiglia ti sa dare. «Tornato da Siviglia», mi racconta Vito, «sentivo la necessità di rigettarmi nel ventre della casa materna, per riscoprire il piacere di passare del tempo in famiglia e nel luogo dove sono nato». Come accade spesso nella storia di molti narratori per immagini, è la fotografia a venire incontro ai loro desideri, e anche nel percorso che ha ricondotto Vito nella sua Sicilia, lei ha un posto d'onore.
«A Siviglia realizzavo soprattutto fotografie di strada», mi confida, in una breve intervista fatta via telefono, «per lo più immagini singole caratterizzate da colori brillanti e da una luce contrastata. Approdato poi in Sicilia, non so perché, sarà stato l'odore della campagna o l'abbraccio dei miei, ho percepito l'esigenza di concentrarmi più su un racconto a lungo termine, che vedesse la presenza di tante fotografie collegate tra di loro e un tema prestabilito (non che prima questa esigenza non esistesse, anzi, già a Siviglia lo sfogliare alcuni libri mi aveva messo il tarlo nell'orecchio, ma era come se avesse acquistato concretezza solo al mio rientro a casa). Volevo quindi mettermi in gioco e tentare nuovi percorsi artistici. Fin da subito ho così iniziato a pensare alle prime fasi del progetto di Fiorin Fiorello, poi maggiormente sviluppato in un workshop fatto con Daniele Vita».
Fiorin Fiorello mette armoniosamente in fila attimi di vita quotidiana. In questa dolce melodia, in cui i fiori, oltre che un titolo, sono il simbolo della celebrazione dei riti famigliari, si mischiano la storia di una coppia qualunque - ma che poi scopriremo essere speciale - e immagini di un passato ancora vivido. Il risultato è uno strano effetto nostalgico, che ci catapulta nell'album di famiglia di Vito e ci invita a scovare il significato di quegli indizi nascosti negli ambienti casalinghi.
«Durante la ricerca del materiale d'archivio», continua Vito, «ho ripescato una vecchia audiocassetta, in cui al suo interno mia nonna cantava un brano che ancora oggi riecheggia nelle mie orecchie: "Fiorin Fiorello, l'amore è bello vicino a te...", canticchiava, e io, che da lei non mi scollavo mai, registravo tutto, con un registratore a nastro e un microfono improvvisato. Riascoltare la sua voce e guardare alcune vecchie fotografie - una in particolare, quella della nonna con un mazzo di fiori in mano - mi hanno aiutato nello sviluppo di Fiorin Fiorello. Oltre a concedermi un titolo, chiaramente ripreso dal brano, e una struttura, sono tornato per pochi istanti bambino. E sono stato bene».
Fiorin Fiorello, l'amore è bello vicino a te 🎶
Quelle di Vito Dell'Orto sono fotografie staged, ovvero fotografie costruite nei minimi dettagli. Il fotografo catanese ha curato luci, atmosfere, ambienti e l'espressione dei soggetti al fine di restituire delle immagini evocative, «frammenti di ricordi e aneddoti personali che tornano a pulsare dentro le inquadrature, per parlarci al cuore».
"Fiorin Fiorello", 2023. Immagini di © Vito Dell'Orto
Un approccio alla fotografia completamente diverso da quello a cui Vito ci ha abituati in passato, e questo mi incuriosisce, essendo lui un fotografo di strada molto in gamba. Tuttavia, mi sono bastati pochi minuti insieme per capire il motivo della scelta: questo lavoro conta molto per lui e «ogni fotografia, a modo suo, ha un peso, fotografico e intrinsecamente umano».
«Volevo che ogni fotografia fosse speciale, unica. Ci ho lavorato per mesi. Ero talmente dentro il progetto da chiedere ai miei genitori anche di alzarsi ad orari proibitivi, pur di non perdere la luce dell'alba o una loro espressione», mi dice Vito, ridendo, mentre insieme scorriamo alcune immagini del lavoro.
Ed effettivamente, vagando nelle atmosfere che ha costruito per noi, non posso che pensare alla quantità di tempo e energie spese nella realizzazione di un singolo scatto. Bisogna pensare alle luci giuste; le espressioni più convincenti; gli oggetti simbolici da posizionare a favore di camera: faccende che porterebbero molti fotografi a rinunciare durante la corsa ma che in Vito diventano invece delle forze dirompenti, materiali rivestiti di senso e di un'amore indissolubile.
Fiorin Fiorello, questo è importante dirlo, non è ancora completo. Manca una seconda parte in cui il fotografo inserirà la sua figura nelle scene, costruendo nuovi ricordi da conservare e custodire in un album futuro. Ma già così, con la sua estetica e i suoi piacevoli sussurri, riesce a parlarci benissimo di Sicilia e a illustrarci un concetto di famiglia, che seppur personale, tocca punti universali.
Un'immagine in particolare, e questa è mi piaciuta molto, spiega bene come l'esperienza del singolo possa creare connessioni con le esperienze di altri individui. Diventare un qualcosa di collettivo, insomma, che ci tocca emotivamente e che ci catapulta tutti dritti nel passato. È una fotografia semplice, dolcissima, che vede i genitori di Vito seduti di fronte alla televisione. L'inquadratura è centrale. La luce calda e avvolgente. L'ambiente casalingo. Nella fotografia, i due soggetti guardano il "filmino" del matrimonio; discutono di quei momenti e senza accorgersene - non era nel copione, né programmato - si commuovono, ricordando quanto amore ci fosse in quei giorni, quanti sacrifici fatti per mantenere la famiglia unita. Tutti, guardandoli, partecipiamo alla loro emozione, e come se fossimo seduti qualche centimetro dietro di loro, ci sfidiamo a riconoscere i volti sullo schermo, per vedere come sono cambiati, per capire quanto siamo cambiati noi.
«Un momento magico - mi rivela Vito - che mi ha fatto capire quanta poesia ci possa essere nella realtà e come alcune scene di vita famigliare nascondino un'importanza che si rivela solo nel momento in cui, quelle scene o quelle persone, smettono di essere parte della nostra quotidianità». E anche io, guardando la scena, mi sono ricordato di mia zia, che insieme a mia sorella e mia nonna si prestava al supplizio dei "filmini di famiglia". A noi piacevano tanto, quei filmini; lei invece li odiava: li aveva visti così tante volte da rendergli indigesti. Ma poi, di nascosto, quando nessuno guardava, si lasciava andare anche lei alle emozioni. E sorridevamo insieme.
Fiorin Fiorello, in fondo, vuole essere un carosello che proietta costantemente briciole di ricordi impastati di dolcezza. Non ci sono visioni negative, né traumi da affrontare. Lo sguardo del fotografo è quello del Vito bambino, che osserva la quotidianità con l'immaginazione e l'innocenza che solo i bambini hanno. Ogni fotografia è un gesto d'amore, un biscotto concesso dopo una giornata al parco; ma anche un aggrapparsi ai momenti felici per scampare a quello che è un futuro, purtroppo, già scritto.
I suoi genitori, d'altronde, sono cresciuti. Sono ora anziani. E potremmo pensare che costruire una rappresentazione della famiglia totalmente sorretta da ricordi del passato possa essere egoistico, se non, a tratti, ingannevole. Vito è cosciente di starci raccontando qualcosa di strettamente personale, nostalgico, ma altresì è consapevole che solo attraverso l'incastro dei ricordi di una silenziosa felicità si può comprendere cosa il tempo davvero sia, e quanto questo conti nella vita di ognuno di noi.
«Quando i miei genitori non ci saranno più, sarò grato a questo periodo che mi ha permesso di vivere a stretto contatto con loro. Ora ho numerose fotografie che li vedono protagonisti. E quando le riguardo, non posso che sorridere. Se penso ora al futuro senza di loro, ho meno paura». Una chiusura del cerchio, per quel bambino che sfogliava l'album impolverato della nonna, e che ora, con Fiorin Fiorello, ne avrà un altro da tramandare.
Chi è Vito Dell'Orto?
Vito Dell'Orto è un fotografo catanese. Dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria Ambientale all'Università degli Studi di Firenze, l'amore lo ha portato a Siviglia, una città che lo ha accolto per dieci anni nelle sue braccia facendolo immergere in un grembo fatto di luce e colore. Di recente è tornato a vivere in Sicilia (Giarre) dove insegna nelle scuole medie e, nel tempo libero, realizza fotografie con il fine di farne dei progetti. Il suo Sito Web e Instagram.



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