Il mondo della fotografia è fatto di microcosmi: ambienti, luoghi e gruppi di persone che vivono momentaneamente in quelle strutture immaginifiche create da noi fotografi e tenute saldamente in piedi solo per pochi istanti: il giusto tempo di premere il pulsante e passare alla scena successiva.
Sono mesi ormai che osservo con grande attenzione il microcosmo creato da Robbie McIntosh e dai suoi esuberanti personaggi. Ogni immagine, ogni porzione di quello spazio della costa napoletana, all’interno delle sue inquadrature, sembra essere infinito, sovrappopolato, e sempre ricco di instanti irripetibili.
Mi sono allora chiesto, più volte, quale obiettivo portasse Robbie ad immergersi in quegli spazi, a farli propri, a sbracciarsi tra la folla, rischiando di inciampare in qualche pietra, per riuscire a fotografare i suoi soggetti nella loro schietta verità.
Non ho più resistito, e allora l’ho contattato, e le sue parole, frutto di un’intervista fatta per email, mi hanno confermato la bontà di un progetto che va oltre l’immagine fotografica.
Robbie mi racconta che quest’idea, questo progetto di vita, nasce nel 2012, con i primi timidi approcci alla “Tana delle tigri”. Assiste lì, senza neanche immaginarselo, alle scene più disparate: da riti ecclesiastici, a riunioni famigliari fatte di pranzi con portate indefinite e personaggi al limite della realtà.
Vede persone, spesso le stesse, che passano lì qualche ora, per poi ritornare alla vita di tutti i giorni, ed altre che invece ci passano tutta l’esistenza, come se il mare fosse la loro amante, la loro ragione di vita. Un miscuglio di situazioni a cui è difficile resistere e da cui non vorresti mai separartene.
Robbie è cosciente della varietà della popolazione napoletana. Pur non essendo nato lì, ha imparato a riconoscerne le sfumature, ad entrarci a contatto e, se la situazione lo permetteva, a farsi raccontare dai napoletani le loro storie.
Ha iniziato per caso, per curiosità, e non si è più fermato. Gli chiedo quante ne abbia realizzate, di queste immagini, e quante di queste si siano salvate, nel tempo, dalla sua selezione, ma non sembra capacitarsene neanche lui.
Ormai questo lavoro fa parte della sua vita: sono frammenti dell’esistenza di Robbie McIntosh in tutto e per tutto, sarebbe come chiedergli quante volte ha respirato in una giornata.
Il suo è un lavoro prettamente sociale, in cui la componente umana, vista attraverso un filtro spesso ironico e beffardo, è sempre al centro della sua inquadratura. I suoi soggetti sono i più disparati: ci sono uomini, donne, bambini ed anziani, colti nella loro spontaneità e nella loro energia.
Alcuni si mettono in posa, sontuosamente come delle statue greche, altri invece distolgono lo sguardo, per non farsi rapire l’anima dallo strumento fotografico.
Robbie si avvicina molto, non sembra fargli paura il contatto con le persone. Mi racconta che per lui è fondamentale essere lì, dentro la scena, per poter davvero capire cosa sta accadendo, e vedendo quei corpi che quasi lambiscono l’obiettivo della sua fotocamera ne comprendo anche il perché.
I volti arcigni, sorridenti ed incuriositi, occupano il quadrante e costruiscono una serie di fotografie che lascia spazio alla vita, in tutte le sue meravigliose forme. Le pance, come anche i corpi di una bellezza insolita, fanno da quinte, ed aprono la vista ad un ambiente che sembra essere meraviglioso, una vera e propria oasi a ridosso della città.
La serie di Robbie è una collezione di persone, un album di figurine che accoglie tutti, senza discriminazione e senza pregiudizi. Anche quando ti si presenta davanti un uomo a petto nudo ricoperto di tatuaggi, da sempre visto culturalmente come sospetto o pericoloso, ti viene da sorridergli, perché qui ogni cosa, ogni errore, perde di significato, al cospetto dell’arte fotografica.
Non c’è ricerca di perfezione, e neanche della bella immagine, ci sono solo le persone: protagoniste della scena ed uniche voci in capitolo nella costruzione di quel momento catturato ed impresso nella mente di tutti.
Chi siano o non siano non ha importanza. Le foto di Robbie non hanno nome o didascalie nel pieno rispetto delle persone inquadrate e dell’atmosfera idilliaca creatasi attorno a loro. Sono passanti, attori itineranti che si offrono al pubblico, per il puro piacere di farlo.
E riconosci subito questa necessità, questa sfida a mettersi in gioco nei loro occhi: ti affrontano e subito dopo ne ridono, perché davanti ad un obiettivo ci trasformiamo tutti e siamo disposti a mettere da parte ogni rancore.
Quelle di Robbie sono scene che difficilmente ti dimentichi e che ti porti nel cuore, perché la vita, senza creare connessioni con i tuoi simili, sconosciuti o conosciuti che siano, perde di significato. Lui l’ha capito e continua senza sosta nella sua ricerca forsennata di un motivo dell’esistenza umana.
Il motivo che mi spinge a non “uccidere” questa serie è che ogni volta accade qualcosa di nuovo e inedito. E’ una perenne tabula rasa e, al tempo stesso, è come un mosaico che volta per volta si arricchisce di un nuovo tassello. Avrà una fine quando non mi divertirò più
– Robbie McIntosh
Sembra impossibile poter vedere sempre nuove cose in posti ormai calpestati per mesi e mesi. Siamo abituati a fuggire da quei luoghi che ci hanno accolto e ci hanno cresciuto, come se li vedessimo sempre come dei pesi da eliminare il prima possibile.
Invece Robbie è rimasto e continua ancora a scattare, finché le gambe gli reggeranno e finché avrà voglia di farlo (anche se mi svela che sta lavorando ad un libro, come anche ad una mostra a Pozzuoli, quindi forse qualcosa di definitivo lo vedremo presto).
Pensare ad un Napoli così mi fa sorridere e desiderare di vedere tutto questo con i miei occhi. Quella di Robbie è una forma di omaggio nei confronti di un popolo che si dimostra veritiero e ricco di sorprese. Poterlo vedere così, in questa forma e continuità, non ha veramente eguali.
Io mi sono innamorato di questa serie e spero di poterla vedere il prima possibile in formato cartaceo, per poter dire di aver assistito ad un’altra faccia di Napoli, e non solo a quella imbellettata passata sui TG o su altri canali edulcorati.
Il lavoro di Robbie ti rimane impresso e non puoi resistergli. È più forte di noi. È più forte della fotografia stessa.