Nello sguardo irrequieto di chi cerca la spensieratezza nell'ignoto, ritroviamo i Balcani, e forse noi stessi

Lungo, frastornante, rivelatore; il viaggio che ha portato Davide Mantovanelli, dalla sua minuscola Este, alle esotiche terre dei Balcani, coglie a pieno titolo dalla letteratura di origine sud americana: dentro, in quei palazzi, scorci ed abbracci che sembrano parlare una lingua tanto sconosciuta quasi familiare, c'è del magico, ma anche quell'inappuntabile prosaicità del quotidiano che solo dentro una fotografia acquista un senso proprio.

Nella sua ultima serie fotografica, "Balkan Tour", iniziata un fine aprile del 2024, Davide disegna per noi un itinerario "emotivamente suscettibile" della Penisola Balcanica. Emotivamente suscettibile, perché a spingerlo tra un confine e l'altro di queste terre molto diverse tra di loro, e di cui, tante di queste, scelte «la mattina presto, appena svegli, spinti da un impulso», come mi racconta lui stesso via telefono, c'è stata la necessità di ritornare a stupirsi del mondo e, soprattutto, della fotografia, ai suoi occhi rimasta svilita e ridotta a causa di un burnout lavorativo che lo ha trascinato verso la convinzione che la materia non facesse più per lui.

«Ero partito per i Balcani più con l'idea di cercare il mio benessere, che di scattare delle buone fotografie. Arrivavo da un periodo di crisi, in cui avevo messo in serio dubbio me stesso e la mia più grande passione. Sentivo davvero il bisogno di cambiare aria e la Penisola Balcanica, luogo che da sempre mi affascina per la sua frammentarietà e la costante evoluzione geopolitica, mi è venuta incontro, come una guida».

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

Il viaggio di Davide parte dalla Slovenia e finisce, dopo una peregrinazione durata tre mesi, in Bosnia ed Erzegovina, paese dove la natura e la sua gente, mi dice, lo hanno «piacevolmente sbalordito», portandolo subito su binari inaspettati.

Un città al giorno, o giù di lì, in cui il fotografo veneto scopre lentamente le bellezze e le complessità di paesi e popoli quasi fermi nel tempo ma anche l'avvicendarsi di una sensazione di inquietudine e disagio interna che lo porta presto a chiedersi se quello che fotografa sia frutto di un suo ragionamento personale o solo lo specchio del pensare europeo nei confronti di queste terre.

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

Non a caso, in quell'agglomerato di paesi che unisce culture molto differenti tra loro e che conserva, nei suoi trascorsi sociali, politici e territoriali, gran parte della storia passata e recente della nostra Europa, Davide fotografa, in una prima fase, il diverso, l'esotico, l'esuberante, spinto dall'inestinguibile influenza dei media moderni che trasforma spesso, con fin troppa frettolosità, ogni uomo, cultura e dimensione nella parodia di se stessi, dei "memi", più che farne materia critica da cui aprire un dialogo.

«Rendendomi conto che all'inizio stavo anche inconsciamente cercando quel tipo di scene, a un certo punto mi sono detto: no, scelgo di non andare a insistere su questo punto [...], perché dentro questo apparente disagio, c'erano spesso tragedie personali o attitudini culturali che andavano rispettate, capite, e quindi non giudicate»; e questo passaggio di intenzioni, in Davide, è presto cruciale, tanto da condizionare i suoi successivi spostamenti e il suo modo di raccontare i Balcani.

Perché dentro questo apparente disagio, c'erano spesso tragedie personali o attitudini culturali che andavano rispettate, capite, e quindi non giudicate.

Un cambio di rotta narrativo, e forse emotivo, che scorrendo le stesse fotografie che riempiono il suo profilo Instagram, diventato per "Balkan Tour", diario giornaliero e testimonianza del suo peregrinare lungo i Balcani, si fanno manifestazione di una crescita favorita anche dall'incontro con le persone.

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

«Quando ero in Albania», mi racconta, «ho conosciuto Carola Cappellari, una fotogiornalista che ha pubblicato sul Time e su molti altri magazine internazionali. Parlare con lei, che ha vissuto in quel territorio per diversi mesi, mi ha dato modo di entrare un pò di più nell'ottica di approfondire lo spazio, la popolazione e i fenomeni che li riguardano tramite occhi estranei. Questo ha fatto la differenza».

Ma gli incontri "formativi", se vogliamo chiamarli così, non si concludono qui. In Turchia, Davide si lascia guidare dai consigli di Latife Solak Baudet, fotografa di strada residente ad Istanbul, mentre in Slovenia, da quelli di Jure Maticic, anche lui grande narratore della quotidianità e del suo paese. Il contatto con gli abitanti e, soprattutto, con altri fotografi e fotografe residenti in zona (spesso contattati tramite Instagram), permettono a Davide di scendere maggiormente a fondo delle questioni slave, mettendolo così nelle facoltà mentali e morali di poter capire meglio i costumi, i volti e quelle usanze che un attimo prima gli erano quasi alieni.

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

La serie di "Balkan Tour" è un'ottima interpretazione di quella fotografia di strada contemporanea che gioca moltissimo sull'ironico, le proporzioni e la narrazione del quotidiano. Lo stile di Davide, che sul Blog ci è già passato, si è evoluto nel tempo, e questo è apprezzabile, vista la poca mancanza di lucidità e personalità che il genere della Street Photography si porta sempre più appresso negli ultimi tempi.

C'è però una cosa che più di tutte mi colpisce delle sue immagini. Una cosa che ha a che fare più con la fotografia d'oltreoceano che con quella europea: la narrazione quasi intima e crepuscolare della natura e di come questa si rapporta a noi. Un fatto che a Davide sembra stare molto a cuore e le sue fotografie ce lo rendono chiaro.

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

La natura è presente, dominante, e anche quando si scontra con l'impianto urbano, non sembra soccombergli, anzi, si amalgama perfettamente allo scenario dando vita a situazioni altamente esilaranti, dolci e, a volte, spericolate.

Quel senso di istintualità, di selvaggio, che Davide a più riprese mi ricorda essere stata la guida principale del suo viaggio, è insita in ogni luogo. Si fa forma e colore nel pascolo di un cavallo e nello sguardo amico di un orso. Sale alta, nel caso di un uccello, sopra i blocchi freddi di un palazzo popolare. Diventa mezzo di trasporto, in quei paesi in cui la benzina e le auto sono un lusso. E lo ammetto, veder spuntare, in mezzo ad una strada, magari buia, una manifestazione di libertà del genere è un invito a riflettere sull'uomo e sul suo rapporto, ormai logoro, con la natura.

Davide, d'altronde, con la natura ha un legame speciale; soprattutto con la notte. «La notte», mi dice, «è il momento migliore per vagare in una terra sconosciuta e conoscerla nel profondo. Perché è lì, nella vuotezza di questi posti notturni, nella natura sconfinata, che si esprime una sorta di genius loci, un'anima del posto che di giorno è invisibile». Questo alternarsi tra giorno e notte non è altro che lo scambio dei ruoli tra il reale e il magico, tra quello che possiamo toccare con mano e quello che, in sogno, speriamo di poter fare nostro: il rivelarsi della bellezza del mondo, che per pochi istanti, decide di renderci partecipi della sua espressione.

Vai poi lì e ti rendi conto che in realtà sono per certi versi più civili di noi, che rispettano la natura, in cui vedono un qualcosa da non addomesticare a tutti i costi, e credono ancora nell'amicizia.

Una serie, quella di "Balkan Tour", che ci lascia immaginare infiniti risvolti e che ci costringe, nella sua struttura schietta e trasognante, struttura che sceglie di raccontarci il popolo, più che le spiagge dei turisti, ci costringe a riconsiderare le nostre opinioni sulla Penisola Balcanica e, in particolar modo, sulla sua gente, che ancora oggi, a causa di una narrativa poco piacevole, è bersaglio di enormi pregiudizi.

«Partendo da un immaginario mediatico spiccatamente europeo, molti dicono, con incoscienza, che "sono slavi, un po' instabili, un po' pazzi, un po' ladri". Vai poi lì e ti rendi conto che in realtà sono per certi versi più civili di noi, che al contrario nostro, rispettano la natura (mi sono innamorato dei parchi della Bulgaria!), in cui vedono un qualcosa da non addomesticare a tutti i costi, e credono ancora nella vera amicizia».

"Balkan Tour", 2024. Immagine di © Davide Mantovanelli

Chiedo a Davide, prima di lasciarlo alla sua Tachipirina (aveva una brutta febbre), se questo viaggio alla fin fine lo abbia aiutato a risollevargli il morale, a farlo rinnamorare della fotografia. «Non so», mi confida, «è forse ancora presto per dirlo. Sta di fatto che ora sto meglio. Questo viaggio mi ha concesso del tempo per me stesso e per capire come raccontare meglio attraverso le immagini. Sono in piena fase di cambiando - sto studiando tantissimo! - e la Penisola Balcanica, in tutto ciò, come una scintilla scoccata nel buio, mi è stata una compagna fedele».

Vedendo quello che sta realizzando ora sul suo territorio, immagini oniriche e di una bellezza - perdonami la ripetizione - trasognante, mi verrebbe da dire che si, questi Balcani sono magici, e che lui, in fin dei conti, è ora sulla strada giusta.

Chi è Davide Mantovanelli?

Davide Mantovanelli è un fotografo veneto. Il suo stile è leggero, irriverente; con pochissimi elementi, riesce a trasformare la realtà nello spazio in cui tutto è possibile. Tra le sue ultime fatiche, un secondo posto al Pisa Street Photograpy Awards 2023. Puoi vedere altri suoi lavori sul suo Profilo Instagram.

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