Oggi voglio parlarvi di un personaggio che, maggiormente rispetto ad altri, evidenzia un modo di interpretare il meraviglioso mondo della fotografia davvero unico e spensierato. L’artista in questione è Josef Koudelka.
Josef Koudelka Biografia
Josef Koudelka nasce Boskovice nel 1938. Inizialmente la fotografia rappresenta un hobby per il giovane fotografo ceco, tanto che il suo reale lavoro ero quello di ingegnere aeronautico presso un’azienda.
Nel 1969, dopo alcuni lavori fotografici a teatro e un importante reportage sugli zingari, decide di dedicarsi completamente alla fotografia abbandonando così il suo principale impiego.
Da qui il giovane Josef Koudelka inizia a viaggiare alla ricerca di eventi e di personaggi che meriterebbero una maggiore visibilità e un maggiore aiuto, infatti le sue principali opere di riferimento sono quelle collegate ai suoi due lavori di reportage sugli zingari (Gypsies) e sui cosiddetti “emarginati” (Exiles).
Josef aveva un modo di interpretare il reportage che era unico nel suo genere, il fotografo, prima di poter scattare e completare così il suo lavoro, aveva bisogno di vivere per settimane (e qualche volta anche mesi) a stretto contatto con il suo soggetto e il suo ambiente.
Questa sua peculiarità gli permetteva di poter conoscere realmente quello che fotografava, ma soprattutto gli dava il giusto tempo per poter osservare ed immaginare lo scatto finale.
Josef credeva molto nell’idea di assaporare l’istante prima con gli occhi e poi con la propria fotocamera tanto che, questa caratteristica, insieme alla sua grande capacità artistica, lo resero uno tra i fotografi più importanti, e conosciuti, del tempo.
Camminare, camminare e camminare...
Josef Koudelka era uno di quei fotografi che amava osservare tutto quello che lo circondava. In una sua intervista presso il sito “>maledettifotografi.it, egli ricordava come lo scatto era solo l’ultimo passo prima di un processo molto più lungo e difficile.
Osservare con i propri occhi era il punto fondamentale per dare inizio ad un progetto, osservare era l’unico modo per vivere in maniera soddisfacente quello che era un evento che andava ben oltre all’evento in se.
Per fare tutto ciò, il fotografo ceco, aveva bisogno di stare per molto tempo nell’ambiente da lui fotografato e, a volte, doveva ritornare in quel luogo per poter catturare degli istanti che magari aveva perso, o non aveva avuto “occhio” nel inquadrarli adeguatamente.
Questo lungo processo gli permise di avere la libertà creativa di poter completare il proprio lavoro senza essere limitato da un terzo, ovvero da un’azienda o rivista che lo pagava per realizzare un lavoro specifico (quale azienda lo avrebbe mai mandato per più di una volta in uno stesso luogo?).
Josef sottolineò più volte questa sua fortuna di poter lavorare liberamente su quello che più lo interessava. Egli non era minimamente toccato dall’idea di diventare famoso o ricco (in suoi numerosi viaggi dormiva in un sacco a pelo), quello che a lui premeva di più era mettere in mostra un evento che sarebbe, per forza di cose, stato dimenticato nel tempo.
Riusciva a farlo in maniera veramente meravigliosa, la sua bravura di giocare con la luce naturale e con l’ambiente (accentuato dall’uso di un obiettivo 28mm) lo resero uno dei fotografi di maggior riferimento nel mondo del reportage.
Cosa ci insegna Josef Koudelka sulla fotografia?
Josef Koudelka è un fotografo da seguire e rispettare per svariati motivi. La sua idea pura e “cruda” di fotografia ben rappresenta un personaggio che ha compreso come, tramite questo mezzo, si possano raggiungere dei risultati che vanno ben oltre all’arricchimento monetario.
La fotografia è un’arte, un mezzo di comunicazione che va sfruttato a dovere e che tutt’oggi può ancora avere le peculiarità per cambiare il mondo e la società, sta a noi farne buon uso.
Personalmente trovo le sue fotografie straordinarie, ma ad essere ancora più straordinario è il suo modo di vivere la fotografia.
Chi come me sta pensando di inoltrarsi nel mondo del reportage, esempi come Josef Koudelka sono fondamentali per non “cadere” in errate analisi di un genere fotografico che deve vivere di una certa concretezza e verità. Senza queste caratteristiche si perderebbe l’essenza stessa del Reportage.
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