Più ne ascolto e più sono convinto di una cosa: la fotografia ci aiuta a superare qualsiasi avversità, anche quella più recondita e difficile da digerire. Nel caso di Davide Mantovanelli, ospite del mio Podcast, e di recente intervistato per la serie sui fotografi di strada italiani, lo ha aiutato a combattere la timidezza e ad uscire da un periodo emotivo non troppo positivo.
Ti riporto oggi la sua intervista e la sua storia, sperando ti possano stimolare ad iniziare a concedere più tempo a quello che per te è solo un hobby e, perché no, a valutare l’idea di farlo diventare il tuo lavoro. La fotografia potrebbe aiutare anche te dopo tutto.
Intervista
Ciao Davide, grazie per il tuo tempo e per aver accettato di prendere parte a questa intervista!
Ciao Gianluca, grazie a te per l’invito!
Le tue immagini sono deliberatamente costruite intorno ad una chiave umoristica. Quanto è importante questo fattore nella tua ricerca fotografica?
L’umorismo, come anche la scelta attenta del soggetto, è una delle chiavi fondamentali della mia fotografia. Con l’umorismo riesco a strappare un sorriso allo spettatore e, nel mentre, farlo arrovellare su tematiche più importanti come quello del turismo di massa e dell’inquinamento visivo.
Per me è un appiglio straordinario, oltre che un grande espediente che mi permette di poter entrare e uscire dalle scene, senza avere addosso quell’ansia di star andando a fotografare delle persone estranee in un luogo pubblico.
L’umorismo mi appartiene e non faccio per niente fatica a ricercarlo e a metterlo al centro della narrazione delle mie fotografie. Mi aiuta molto il mio carattere, già di per sé teso verso questo aspetto burlesco delle cose, ma anche le strade che normalmente bazzico — Venezia in primis.
La Street Photography si sposa benissimo con questo approccio e sono sicuro, che senza questo fattore, le mie fotografie, non avrebbero la stessa forza e la stessa presa sul pubblico.
L’umorismo viene a volte condito dall’utilizzo del flash in alcuni contesti. Lo usi spesso o è stato solo un esperimento temporaneo?
Ti dirò, confrontandomi di recente con la mia collaboratrice Francesca Paluan, ho potuto constatare il sempre meno utilizzo del flash nei miei lavori. Non l’ho eliminato del tutto, sia chiaro, ma lo utilizzo ora con più parsimonia ed oculatezza.
Qualche anno fa era invece alla base dell’estetica delle mie immagini. All’inizio mi entusiasmava — e spaventava nello stesso momento, visto la sua natura aggressiva — ma andando avanti con gli esperimenti, ho percepito quasi un vincolo nei suoi confronti, come se fare fotografia con il flash mettesse da parte tutto il resto (inquadratura, scelta del soggetto e tempi di azione).
Il flash è sicuramente un ottimo espediente, ma si rischia di ricadere facilmente in quell’estetica da paparazzo che a volte non va oltre al viso del soggetto illuminato o stravolto dal lampo. Cosa che se ci pensi, nei lavori di Martin Parr o Bruce Gilden, è assente, avendo loro una chiara idea in testa su come utilizzarlo e su come sfruttarlo a dovere.
Fai il fotografo di mestiere. Ma quando hai iniziato davvero a prendere in mano una macchina fotografica?
Mi avvicino alla fotografia circa 10 anni fa. Avevo bisogno di uno svago che mi permettesse di superare, senza troppe tribolazioni, una situazione sentimentale abbastanza problematica. Ho cercato fin da subito di occupare il mio tempo con brevi sessioni fotografiche e con il seguire workshop o corsi sulla materia.
Alla strada arrivo dopo, quando capisco che il contatto con le persone mi piace. Mi ha aiutato molto a crescere da questo punto di vista il seguire un Workshop con Pau Buscatò a Barcellona. La sua capacità di saper unire reale e surreale, nel contesto della Street, mi ha aperto la mente verso un’idea di fotografia più libera e personale.
Quando comprendi che l’immaginazione può essere un’arma per le tue fotografie, e non un limite, allora puoi davvero iniziare a crearti un tuo percorso fotografico solido e duraturo. Questo credo sia il più grande insegnamento che ho appreso da Pau e dai tanti altri fotografi studiati durante questi anni.
L’immaginazione di cui parli, può essere stimolata in strada solo dalle persone? O anche dagli oggetti?
Credo sia stimolabile da ambe due i fattori. Nella mia ricerca fotografica tornano spesso elementi inanimati riconducibili ai grandi temi del consumismo e del turismo di massa. C’è il cibo, ma anche tutti quegli oggetti usa e getta che riempiono le nostre strade e che le colorano in maniera indiscriminata.
É una di quelle cose che ho prelevato, inconsciamente, dai lavori di Martin Parr e dal già citato Pau Buscatò.
Molte volte non ci rendiamo conto dell’accozzaglia di elementi che ci circondando e che ci soffocano nell’impianto cittadino. Attraverso la fotografia provo a coglierli nella loro immobilità e ad inserirli in un percorso critico che permetta allo spettatore di rendersi conto della situazione attuale in cui vive.
Da un certo punto di vista, la mia ricerca fotografica, è paragonabile a quella di un sociologo, che con grande sensibilità e occhio attento, scruta dentro la quotidianità di tutti giorni, per scardinare, una volte per tutte, quella visione idilliaca delle vita tanto dipinta bene dai media.
Queste scene che fotografi, sono riprese furtive? O c’è una partecipazione attiva dei tuoi soggetti?
Quando fotografo cerco di mantenere il più possibile inalterata la spontaneità degli eventi. Mi tengo alla debita distanza e cerco di scattare quando i soggetti non sono consci della mia presenza. Capita a volte che ci sia un contatto visivo. Quello va bene, ma non vado oltre.
Macchiare la scena con la consapevolezza dei miei soggetti di essere fotografati, mina, dal mio punto di vista, l’attendibilità e la forza degli episodi costruiti all’interno della mia inquadratura. Una concezione molto pura della Street, lo so, ma è forse l’unico limite che mi dò quando fotografo.
La tua ricerca passa anche dal virtuale e dalla piattaforma di Google Street View. Raccontami un pò la tua esperienza con questa modalità di scatto
Ho avuto l’occasione di poter spendere, in piena Pandemia, una buona parte del mio tempo sulla piattaforma di Google Street View. La voglia di fotografare e scendere in strada era incalcolabile, ma la situazione non mi permetteva di poter fare altrimenti.
Mi sono così concentrato su questa piattaforma. Quello che mi ha colpito di più, durante le mie tante ore passate di fronte allo schermo, sono state il concedermi la piena libertà nella scelta del taglio, intrinseca nel software di partenza, e la grande percentuale di meraviglia data dal trovarti davanti a delle scene inaspettate e, a volte, surreali.
Mi è piaciuto così tanto lavorarci sopra, da aver dato vita ad un progetto e ad una mostra. Per me, anche questa, è fotografia a tutti gli effetti.
Un buon modo per non andare contro alle leggi italiane sulla privacy. Qual è il tuo pensiero a tal proposito?
Fare Street Photograhy in Italia è sicuramente molto complicato. Si vive costantemente con il peso morale addosso di star scegliendo, da professionista, di perseguire una strada che, per motivi politici, non ti porterà da nessuna parte.
In Italia senza il permesso di pubblicazione da parte dei soggetti delle tue immagini, non potresti condividere neanche i loro volti sui Social Networks. É un grosso paradosso se ci pensi. La Street Photography ha per me un grosso valore socio-culturale e privare gli spettatori della visione di alcune scene, è davvero ingiusto.
Per questo motivo mi trovo più a mio agio a realizzare immagini al di fuori del mio paese. Mi piacerebbe però vedere una maggiore apertura in tal senso in un futuro prossimo. Sarebbe un grosso incentivo per far avvicinare molti ragazzi a questo genere fotografico.
A cosa stai lavorando in questo momento?
In questo momento sto riorganizzando il mio archivio con l’intento di poter dare valore, e una motivazione, a tutto quello realizzato fino ad ora. Nel mentre, porto avanti il progetto della Cornice Bianca e cerco di lambiccarmi sulle possibili svolte dei miei lavori fotografici.
Non ti nego che ultimamente pensando alle mie immagini in una chiave totalmente Street, mi è balenata in testa l’idea di poter dar vita ad una serie su Venezia. È una città che amo e che normalmente fotografo quando organizzo le mie sessioni fotografiche.
É ancora presto per dirlo, ma mi piacerebbe portare avanti questa cosa e produrre, se ci sarà la possibilità, anche un libro fotografico. Vedremo. Per ora è un working in progess.