La fotografia di strada fa incetta di occasioni irripetibili. Il suo legame con la causalità è un legame indissolubile, uno di quelli a cui abbiamo imparato a rapportarci nel tempo e a cui ci appelliamo quando qualcuno, da fuori, ci chiede cosa diavolo sia questo genere fotografico.
Suona bene, eppure c’è qualcosa in questa affermazione che non mi va mai a genio. Pensiamo che tutto sia manovrato dal destino, dalla serendipità dei momenti, ma spesso, una scena, per poter essere assorbita e catturata, ha bisogno di una scelta deliberata: essere presenti lì, in quel luogo e in quel preciso istante, con la propria fotocamera in mano e con la mente vigile.
Riguardando per l’ennesima volta le fotografie di Francesca Chiacchio, prima di questa intervista per il Magazine, ho percepito una potenza, una determinazione data dall’essere spiritualmente e fisicamente presente lì dove conta e dove le cose accadono per davvero.
Energie difficilmente trascurabili, mai banali, e che ho cercato di riportare senza filtri in questo articolo. Spero che l’esperienza e le parole di Francesca possano ispirarti a migliorare e a superare le tue paure. Questa intervista, per certi versi, è scritta anche, e soprattutto, per te. Buona lettura!
Intervista
Ciao Francesca, è un piacere averti qui sul Magazine!
Ciao Gianluca, grazie a te per l’invito e per aver preso in considerazione il mio lavoro. Mi fa sempre piacere parlare di fotografia di strada.
Il tuo è un viaggio infinito. Parti dall’Italia, da Napoli, per poi raggiungere New York e stabilirti lì per otto anni. Ora risiedi di nuovo a Napoli, la tua terra natale. La fotografia, in tutto ciò, ti ha da sempre accompagnata?
Ho iniziato ad utilizzare la fotografia per i miei studi di architettura. All’università io e alcuni colleghi avevamo allestito una camera oscura dove stampavamo le nostre foto per i nostri esami. È stata un’esperienza importante per il mio percorso e per l‘instaurazione di un primo legame con questa forma di comunicazione.
Non ti nascondo però che fu solo dopo la laurea, conseguita prima del mio trasferimento a New York, che decisi di seguire un corso base di fotografia per capirci davvero qualcosa di più su di lei. Lì ho appreso le prime nozioni di composizione, luce e posa che mi hanno aperto un mondo e mi hanno spinto a continuare questa mia passione.
A New York sono particolarmente legata. Mi ha aiutato professionalmente e, soprattutto, mi ha avvicinato alla fotografia di strada. Credo di aver iniziato a praticarla con maggior consapevolezza solo dopo molti anni dalle mie camminate abituali in giro per la Grande Mela. Vedevo e conoscevo autori di ogni provenienza e questo mi ha permesso di prendere più seriamente il mio lavoro.
Molte delle tecniche e degli atteggiamenti appresi in quella “palestra”, riconosciuta in tutto il mondo per essere una delle più straordinarie e variegate, le ho riportate in Italia. Certo, qui la questione privacy non aiuta, ma ogni tanto riesco a percepire la stessa adrenalina provata in passato e a trasmetterla, senza troppe remore, nelle mie fotografie scattate nelle strade di Napoli. Viaggiare, da tanti punti di vista, mi ha sicuramente aiutato.
Le tue sono scene spesso pregne di tanti elementi e soggetti. Adori lavorare con tutti i piani dell’inquadratura e con la luce diretta e contrastata. Come definiresti il tuo stile?
Sono una di quelle a cui piace farsi trasportare dalle sensazioni e dai momenti. Non programmo niente e cerco di rimanere sempre aperta a possibili sorprese o cambi di rotta.
Adoro lavorare all’interno delle folle. Questo mi permette di muovervi agilmente e di catturare tutto quello che mi trasmette una buona sensazione. Non credo di poterti dare però una definizione precisa di quella che è la mia fotografia, ma posso dirti, con sicurezza, che ritengo fondamentale esprimere me stessa e raccontare quello che mi circonda.
La luce, le composizioni complesse e i soggetti, per quanto possa essere scontato dirlo, sono tutti elementi che plasmo e che utilizzo per i miei scopi. La mia è una vera e propria lettura della realtà contemporanea, con tutte le sue sfaccettature possibili.
Una lettura che passa quasi sempre per le persone e per le loro vicissitudini. Come ti approcci a loro durante la fase di scatto?
Cerco di avvicinarmi con rispetto, senza farmi notare. Come ti dicevo preferisco muovermi tra la folla proprio per evitare di incappare in spiacevoli situazioni. L’invisibilità è un’arma che sfrutto e che cerco di tenere ben salda durante tutta la mia uscita fotografica.
Non mi piace chiedere di scattare perché le persone smettono di essere naturali, non per altro. Chiaramente per i ritratti è diverso, se trovo il soggetto che si presta all’essere fotografato sono più che felice di farlo.
Ho notato dal tuo feed di Instagram che pubblichi spesso sequele di instanti, frutto di un’unica passeggiata. Pubblichi le tue fotografie seguendo un ordine preciso? O utilizzi il Social come mero raccoglitore?
Si, di solito cerco di creare una sorta di sequenza o miniserie fotografica. Mi piace pubblicare foto che stiano bene insieme. Da un certo punto di vista uso Instagram come se fosse il mio sito web: è l’unica pagina che aggiorno quasi in tempo reale e che mi permette di avere un feedback immediato sul mio lavoro. Mi dà una grossa mano da questo punto di vista.
Sei tra le fotografe selezionate dell’ultimo volume di “Women Street Photographers”. Com’è stata quest’esperienza internazionale?
Ho avuto la fortuna di poter prendere parte a questa bellissima iniziativa. Penso che far parte di questo libro sia stato il riconoscimento più importante ricevuto fino ad oggi nella mia carriera.
L’idea di essere in una raccolta pubblicata da una delle più importanti case editrici al mondo, e con alcune delle fotografe più conosciute e rispettate, mi riempie il cuore di orgoglio.
Credo che purtroppo ancora oggi ci sia bisogno di donne, come in questo caso Gulnara Samoilova, la fondatrice di “Women Street Photographers”, che diano visibilità ad altre donne e ai loro lavori. La disparità con i colleghi maschi è ancora molto alta ed è l’ora di affrontare il problema e prenderlo più sul serio.
Devo tantissimo sia a Gulnara che a Julia Coddington e Casey Meshbesher, rispettivamente curatrice e fondatrice di “Women in Street”. E’ grazie a loro se alcune delle mie fotografie sono state esposte in Australia, Stati Uniti, Mexico ed Europa. Un’esperienza davvero incredibile e che spero di poter ripetere!
A cosa stai lavorando in questo momento?
In questo momento sto preparando un corso di fotografia per i licei che dovrebbe iniziare a brevissimo. Un progetto per ragazze con disordini alimentari a cui mi hanno chiesto di partecipare e dire la mia.
Mi piace molto lavorare con i ragazzi e l’idea di poter trasmettere questa passione ai prossimi cittadini del futuro mi rende molto felice — e anche molto nervosa, per la responsabilità del ruolo a cui andrò incontro.
Ho vari progetti fotografici in mente, ma sempre poco tempo per poterli portare a termine. Mi piacerebbe uscire un po’ dalla street e dedicarmi ad un progetto con un taglio reportagistico.
Vediamo come si metteranno le cose in futuro. Sono molto fiduciosa anche perché sto investendo davvero tanto tempo e denaro in questa cosa. Spero presto di poter fare di questa passione il mio lavoro primario. È il mio sogno nel cassetto.