Di questi tempi moderni, non si fa altro che parlare di generazioni. Nel profluvio odierno delle informazioni circolateci sulla carta stampata, e molto prima, sulle ampie ed infinite pagine del digitale, la parola "generazione" sembra voler, e poter, accogliere l'entusiasmo di tutti i cittadini del mondo. Uniti da un unico e grande ideale intramontabile ("la nostra generazione, non me ne vogliate, è la migliore di tutte") ci si conferma figli di un'epoca perfetta, che accetta solo quello che la riguarda abborrendo ogni ulteriore interpretazione. Una lotta senza tempo, e che da che tempo, alimenta il fuoco creativo di tanti artisti desiderosi di trovare un legame, o uno scontro, tra quello che è stato e quello che sarà. Fuoco ardente che, molto spesso, strugge in una fotografia: quel posto in cui ci sentiamo tutti a casa.

E proprio al Langhe Photo Festival 2024, l'età e tutte le sue sfumature generazionali diventano il centro di una manifestazione improntata al confronto tra il pubblico e le fotografie esposte. Immersi in una dimensione squisitamente medievale, come quella di Neive, gli appassionati di fotografia sono chiamati a scoprire quali emozioni si celano dall'altra parte dell'emisfero generazionale.

Nudi (metaforicamente parlando) di fronte alle grandi immagini esposte nei vari edifici scelti per accoglierle, scopriamo qualcosa più di noi e di "quegli altri": un vero viaggio nel tempo, come lo definisce Alberto Selvestrel, co-fondatore del Festival, «che lo spettatore percorre e sperimenta sulla sua pelle salendo gli scalini che portano da una mostra all'altra, da una visione sulla morte a una sulla vita».

Alberto è un direttore artistico giovanissimo. Ha curato negli anni diversi eventi sul territorio italiano. Quello del Langhe, nello specifico, è alla sua seconda edizione e come tale ci tiene a riconfermare la bontà del progetto proponendo al pubblico un percorso espositivo che faccia riflettere e mettersi in discussione.

Nella breve intervista che sono riuscito a strappargli via telefono, in un dopo pranzo complicatissimo, abbiamo parlato di come si possa pensare un Festival in un borgo abitato da soli 3500 persone e del perché, Neive, fosse il luogo giusto per farlo. In poche parole: di cosa rendesse tanto speciale il Langhe Photo Festival.

Intervista
Gran parte del fascino di un festival è legato al luogo in cui si svolge. Non conoscendo bene le Langhe, mi ha colpito molto la scelta di ambientare un evento in un borgo medievale del genere. Come mai lui? Cos'ha di speciale?

Neive è uno splendido borgo. Ci si innamora immediatamente di lui appena superata la schiera delle verdeggianti colline che l'attorniano. Io, come altri, sono stato subito rapito dal suo fascino rurale, dalle sue antiche vestigia: lì, in qualche modo, si respira un'aria diversa, un'aria che ti riappacifica con il mondo, che ti fa immaginare infiniti scenari. Complice questa iniziale suggestione emotiva, ho perlustrato negli anni meglio la zona, scoprendone storie bellissime, persone squisite e anche un luogo perfetto per la fotografia. È stata così una scelta di cuore.

Perché un Festival? Come sei arrivato a concepire la sua struttura?

Covavo da tempo il desiderio di costruire un percorso espositivo in una dimensione del genere. I Festival uniscono le persone e le avvicinano alla fotografia. Sono tra i pochi eventi nel panorama culturale italiano che riescono a coinvolgere attivamente il pubblico e far conoscere le bellezze del nostro territorio. Per questo insieme a Francesca Carbone, proprietaria di una galleria a Neive e co-fondatrice del festival insieme a Elvira Sorba, abbiamo pensato che potesse essere interessante ambientarne uno nel borgo: farlo diventare un momento di incontro e di crescita per tutti coloro che occupano giornalmente i suoi vicoli.

E così l'anno scorso abbiamo imbastito la prima edizione del Langhe Photo Festival; quattro mostre, tutte all'aperto; pochissimi sponsor ma tanta voglia di fare. È andata benone e siamo contenti di poter riaprire ora le porte per una seconda edizione dell'evento: più grande e, si spera, migliore della precedente.

Da "Nisida", di © Yarin Del Vecchio: in mostra al Langhe Photo Festival 2024
L'edizione passata ci aveva messo a confronto con il tema "Abitare". Al centro delle opere esposte (di Davide Monteleone, Sara Nicomedi e Flavia Rossi), c'era il paesaggio contemporaneo, interpretato in varie forme. Quest'anno la ricerca si è spostata invece su tutt'altro fronte: c'è l'uomo e, soprattutto, i legami che si instaurano tra i luoghi e le persone. Parlami un pò di "Sarà l'età" e di cosa quest'edizione del festival si propone di raccontare

"Sarà l'età" si propone come un percorso espositivo che vuole far riflettere su di noi e su tutte le infinite sfumature che caratterizzano le generazioni passate e presenti. Attraverso i lavori di Deanna Dikeman, Gabriele Galimberti, Alex Liverani, Martina Albertazzi, Yarin Del Vecchio, Stefano Mirabella e Lorenzo Zoppolato siamo trascinati dentro il variegatissimo universo dei giovani e degli anziani. Le loro immagini esplorano l'inesplorabile. Ci raccontano la nascita ma anche la solitudine della vecchiaia; la reclusione obbligatoria ma anche la libertà in un'avvizzita sala da ballo. In questo accesissimo, e spesso conturbante, scontro generazionale, possiamo cogliere l'inesauribile bellezza della vita umana e il dolore della perdita. Concettualmente, è come se il pubblico viaggiasse in una macchina del tempo, percorrendo velocemente decine e decine di anni. Un tragitto emotivo che non lascia indifferenti e che speriamo stimoli gli spettatori a farsi domande.

Scegliere la direzione di un Festival è sempre un'impresa rischiosa. Cosa vi fatto fatto capire che "Sarà l'età" fosse quella giusta? E come ci siete arrivati?

Siamo arrivati a lei dopo diverse riflessioni. Inizialmente, avevamo immaginato una direzione artistica concentrata totalmente sugli anziani e sul tema della morte. Poi, confrontandomi con Francesca ed Elvira, siamo arrivati alla conclusione che fosse maggiormente interessante creare un itinerario visivo basato sul dualismo, sul confronto tra gioventù e vecchiaia. A confermare la bontà di quest'idea sono stati, per citartene due, i lavori di Deanna Dikeman e Gabriele Galimberti: due diverse espressioni del tema "generazioni" ma entrambi funzionali al racconto.

È proprio il cortocircuito che si crea dall'accostamento di queste interpretazioni personali dell'argomento ad averci fatto innamorare del percorso di "Sarà l'età". Lo vediamo un pò come mettersi di fronte all'inevitabile irriducibilità dell'esistenza umana. Quando pensiamo di averla capita del tutto, escono fuori esperienze e storie che ne ribaltano ogni pregiudizio. Una verità che ci mostra solo la fotografia.

Molte di queste fotografie saranno inglobate all'interno di spazi espositivi al chiuso, sia storici che privati (una delle tante novità di quest'edizione). Voi, come altri, avete scelto di utilizzare strutture storicamente radicate nel territorio più che crearne delle nuove. Mi vien da pensare che questa sia una direzione che sta sempre più prendendo piede in Italia. A parer tuo, dietro c'è solo una necessità dovuta alla scarsità di spazi convenzionali? O c'è altro?

Direi che la verità sta nel mezzo. Qui in Italia siamo pieni zeppi di edifici e strutture che sono in piedi da tantissimo tempo. Molte di questi non vengono sfruttati adeguatamente; spesso sono abbandonati all'incuria e alla sporcizia. Poterli rivitalizzare, facendoli dialogare con la contemporaneità, è così un bel modo per rimettere in circolo parte della storia di una città o di un paese. Il modo forse più funzionale di avvicinare le persone alla fotografia. Certo, è una soluzione di compromesso. Sarebbe bello avere a disposizione più spazi convenzionali sul territorio italiano. Tuttavia credo che questa "mancanza" possa diventare una potenzialità, una forza. Basta avere le idee giuste. In "Sarà l'età", ad esempio, abbiamo cercato spazi che potessero riflettere e valorizzare i lavori esposti. Siamo molto contenti di averli trovati e crediamo che il pubblico ne rimarrà entusiasta.

All'aperto, invece, rimane la mostra collettiva, dei finalisti del concorso

Si! Anche quest'anno abbiamo organizzato un concorso incentrato sul paesaggio. I fotografi in mostra sono 48. Le loro fotografie saranno esposte sulle mura di un vecchio edificio, nel centro storico di Neive. Grazie ai fondi provenienti dai nostri sponsor locali, siamo riusciti a rendere la mostra collettiva più grande e più curata rispetto a quella della passata edizione. Per noi è stata una gioia. Ci teniamo che tutti gli autori e le autrici, anche quelli presenti in una mostra parallela a quella principale, siano soddisfatti di far parte del nostro Festival. La cura è ovunque.

Non ci si può liberare dal paesaggio, insomma [ride]. In qualche modo è connaturato al Langhe Photo Festival: è una parte di lui. Da osservatore esterno, sei rimasto soddisfatto delle proposte del concorso di quest'anno?

Il legame tra Neive e il paesaggio è inscindibile. Un luogo così si lascia andare a sperimentazioni sul territorio di ogni tipo. Per questo mi hanno colpito molto le proposte di quest'anno. Tutti hanno interpretato magnificamente il paesaggio proponendoci delle visioni che vanno oltre l'espressione classica dell'argomento. Guardando le immagini in mostra non c'è infatti il tentativo di voler esaltare la bellezza di un luogo, semmai di metterlo in discussione, di rielaborarlo per portare gli spettatori a domandarsi come si sia evoluto il nostro rapporto con la natura e cosa il paesaggio sia oggi nella cultura contemporanea. In poche parole: da vedere!

Da "DOM", di © Stefano Mirabella: in mostra al Langhe Photo Festival 2024
Alcuni fotografi, poi, sono alla loro prima esposizione. Capirai bene, vista la tua giovane età, l'importanza di questa cosa. Fruire della fotografia in un contesto come un Festival è quindi una doppia vittoria, per il pubblico e gli autori in mostra: qui si sente che la fotografia è davvero vicina a tutti

Si, hai ragione. Noi del Langhe Photo Festival crediamo che proporre un percorso espositivo che coinvolga i giovani autori e il pubblico possa garantire la costruzione di un saldo rapporto con la fotografia, e quindi con il mondo. Per questo le immagini stanno in strada: vogliamo che incontrino le persone, che le spingano a volersi informare di più su cosa stia accadendo all'interno dei fotogrammi. È come per lo sport: più ne vedi, più ti appassioni alla materia. Sensibilizzare il pubblico a ad una corretta relazione con le fotografie è tra gli obiettivi del nostro Festival.

In ultimo, perché venire al Langhe Photo Festival?

Non è facile darti una risposta. Quello che posso dirti è che a rendere speciale il Langhe è l'atmosfera che si respira; la cura che mettiamo in ogni cosa: dalla mostra costruita insieme agli autori fino all'accoglienza del pubblico, curata nei minimi dettagli. Ci piace pensare che venire su queste colline possa regalare agli spettatori un'esperienza fuori dal comune. Un modo per ritagliarsi del tempo, lontano dal brusio delle grandi città, e per vedere come la fotografia cambia i luoghi, in meglio.

Il Langhe Photo Festival aprirà le porte al pubblico il 14 Settembre. L'edizione di quest'anno prevede otto mostre e interventi tenuti dagli autori in esposizione. Si potrà visitare il Festival fino al 17 Novembre. Trovi maggiori informazioni sull'evento qui.

Cambiamo le prospettive 🔻

La cultura fotografica cambia la prospettiva sul mondo. Se credi quanto me che sia importante renderla fruibile a tutti, diffondiamola insieme. Basta solo qualche spiccio :)

Dona o Abbonati al Blog
Condividi