La nebbia: un misterioso fenomeno che invade le nostre strade, le nostre montagne, ricoprendole a spezzoni di una trama irrisolta e sinistra pronta ad invaderci e a non lasciarci uscire più. Per molti un nemico imbattibile, minaccioso, per altri una casa dove rifugiarsi per scampare al tedio della normalità ed inoltrarsi, senza paura, in una terra inesplorata.
La nebbia è questo, ma anche molto altro. Per noi fotografi è soprattutto un ottimo espediente visivo, utile a rendere attraente anche un passante con una carrozzina intento a portare a termine il suo “grande compito da padre di famiglia”: portare la figlioletta al parco per qualche ora (che fatica!).
Dipanjan Chakraborty ha osservato per anni queste scene, decidendo un giorno di catturarle attraverso il suo strumento fotografico. Da qui nasce Foggy Morning, una raccolta di fotografie che vede protagoniste le persone comuni entrare a contatto con una dimensione mistica e parallela: quella di Calcutta, nelle prime ore del giorno.
Dipanjan mi racconta che la nebbia è per lui come un amico fidato, pronto ad accoglierti nel suo grande gioco maldestro di rimandi allo spirituale e ad abbracciarti, freddamente, nelle sue ampie e viscide braccia.
Nella nebbia tutto si trasforma. Le persone sembrano vagare in uno spazio alieno, quasi dantesco, dove ogni cosa sembra provenire dal sogno di un folle sultano e dove le certezze, anche quelle più ferree, si spezzano.
Foggy Morning è una raccolta di frammenti spezzati di esperienze vissute in un tempo e in un spazio indefiniti; momenti in cui ogni cosa sembra prendere vita al massimo delle sue forze per poi scomparire, affievolendosi, al di là di quella foschia che occlude lo sguardo e stimola l’immaginazione.
Dipanjan Chakraborty attraversa, come un viaggiatore dimensionale, le porte di questa realtà e coglie, con il suo taccuino fatto fotocamera, quelle piccole differenze che rendono questo mondo il più bello mai visto fino ad ora.
Sono pochi istanti, poche ore, in cui è possibile vedere queste manifestazioni e farle proprie. Un viaggio di sola andata, dove il biglietto non può essere risarcito e dove lo spettatore è ammonito fin dai primi passi.
Guardando la sua serie sono rimasto piacevolmente colpito da queste atmosfere oniriche che mi hanno ricordato, a tratti, le immagini di Sebastiao Salgado, per la luce che filtra dagli alberi, e i libri di Hermann Hesse, per la componente del misticismo.
È innegabile che Dipanjan abbia prelevato da questi, e da tanti altri fotografi che hanno “visto” l’India, quelle componenti forti che ci attirano e ci lasciano a bocca aperta: fattori predominanti, che diventano però nel racconto visivo del fotografo degli stilemi da utilizzare solo quando necessario.
Nelle sue fotografie notiamo infatti, a dispetto di tutto, e delle innumerevoli altre declinazioni sul tema della nebbia, la presenza di un’impronta personale, data dalla conoscenza del luogo e dall’amore rivolto alla terra di origine.
Una visione che cerca di trovare, nell’ordinario, qualcosa che possa regalarci un momento di evasione; un’esperienza sinestetica da thriller o film dell’orrore che ci fa chiedere chi diavolo siano i protagonisti di questa storia e quali saranno i risvolti futuri (spoiler: al 99% il killer è il maggiordomo).
Uno percorso complesso, lungo, che passa anche dalla scelta di uno scenario ben preciso, quello di Maidan, i polmoni di Calcutta, uno dei più grandi parchi dell’India, e da quella dei soggetti, spesso ripresi di spalle o in silhouette.
Dipanjan sceglie infatti di inquadrare uomini, animali e bambini che rivolgono il loro sguardo verso l’ignoto, verso l’indefinito. Questa scelta non è per niente casuale: sta vivendo la fase più importante della sua esistenza, quella dell’abbandono della stadio adolescenziale e il naturale avvicinamento al mondo del lavoro, della vita vera.
Niente è certo e niente è ancora stato scritto. Deve disegnare la sua vita, il suo futuro, e ogni momento è sacro, pregno di un significato che solo il divenire potrà svelargli.
Questo viaggio fotografico, per certi versi, è un percorso verso la conoscenza di se stessi, un cammino spirituale nella propria coscienza sancito da una ricerca perpetua di uno scopo, di un posto nel mondo.
Una bella serie di fotografie, immature su alcuni aspetti ma, se impostate seguendo una linea comune e più organica, pronte a diventare una parte importante del percorso fotografico di Dipanjan. Io glielo auguro con tutto il cuore e spero di poterle vedere presto in luoghi più prestigiosi.