Prosegue il nostro percorso verso la valorizzazione dei lavori di giovani, o semi sconosciuti, fotografi di strada italiani. Questa volta, a farci compagnia, ci sarà Loris Spadaro: un fotografo con un discreto seguito sui Social Networks che nasconde una profonda conoscenza della sua terra e della materia fotografica.
Intervista
Ciao Loris, è bello vederti qui, anche se in versione totalmente digitale. Ti ringrazio del tuo tempo e della tua disponibilità.
Ciao Gianluca, mi fa piacere essere qui con te. Grazie a te per avermi chiamato in causa per questa intervista.
Sei molto gettonato sui Social Networks. La tua fotografia piace, e quando ho chiesto ai lettori chi volessero che intervistassi, molti, mi hanno fatto il tuo nome. Come ti fa sentire tutta questa fama?
Non avevo notato tutto questo interesse nei miei confronti. Lo sto scoprendo grazie a te in questo preciso istante. Sono molto felice che le persone apprezzino il mio lavoro. Per me la fotografia è una forma di svago. Non punto alla fama o alla glorificazione.
Mi diverto a scattare. Parlo di me e della mia terra attraverso il filtro della strada, e se questo basta a far entusiasmare le masse, e a far avvicinare le persone alla fotografia, beh, allora sono contento di continuare su questa via interpretativa.
Come ti sei avvicinato alla Street Photography?
Ti stupirà sapere che mi sono avvicinato alla fotografia nel 2018. Un mio amico si doveva liberare di una vecchia compatta della Panasonic. Sono riuscito a convincerlo a venderla a me — o lui convincere me ad acquistarla, non ti saprei dire.
Mi sono immediatamente fiondato sulla strada. Abitualmente camminavo, scoprivo ed osservavo con gli occhi tutto quello che mi circondava. Amo Napoli, le sue contraddizioni e le sue tradizioni. E allora mi sono domandato come tutto questo potesse apparire in fotografia.
Da lì non mi sono più fermato. Oggi, quando esco di casa, prima di mettere le chiavi in tasca, prendo la mia fotocamera. Non posso concepire l’idea di perdermi un momento e non poterlo registrare perché ho dimenticato il mio strumento in qualche cassetto della mia abitazione. Per fortuna esistono anche gli Smartphone, sennò sarei già in cura in qualche centro psichiatrico.
Il tuo stile è legato ad una narrazione diretta e ravvicinata di scene che dipingono una cultura estremamente radicata, quella napoletana, e tipicamente italiana. Come interagisci con i tuoi soggetti?
Cerco sempre di creare un contatto con i miei soggetti quando è possibile farlo. Credo che conoscere, o anche scambiare qualche parola, con il protagonista delle mie scene, sia di fondamentale importanza.
Mi capita sempre meno spesso di catturare dei momenti candid e di abbandonare il “campo di battaglia” prima che possano dirmi qualcosa. E quando parlo di contatto, non intendo solo quello relativo allo scambiarsi delle parole, ma anche solo quello dello sguardo.
Rendere partecipe la “vittima” del proprio “delitto”, ovvero quello dello scattare una fotografia, se vogliamo vederla in un’ottica quasi da thriller, crea una tensione, un’energia che viene fuori anche nello scatto. Realizzare immagini così è molto più divertente che “rubarle” passando inosservato.
A nessuno piace farsi scattare una fotografia da uno sconosciuto, questo è ovvio, ma quando c’è un’intesa, forte o debole che sia, tutto passa in secondo piano.
Una cosa che ho notato nelle tue immagini è il venir fuori, anche quando non lo si chiede, della cultura napoletana. Guardando le tue fotografie so di trovarmi in un preciso luogo e in un preciso momento storico. Come vivi questo tuo rapporto con la tua città?
Amo Napoli. È una terra ricca di tradizioni, esagerazioni e di tante contraddizioni. Con la mia fotografia non pretendo assolutamente di documentare, per filo e per segno, quella che è la cultura napoletana, ma di trarne fuori una mia personalissima interpretazione.
Odio quando vedo sui Social Networks delle immagini che ritraggono una Napoli stereotipata o patinata. Queste fotografie non fanno altro che corroborare una cattiva idea del nostro popolo, sminuendone le sue particolarità e accrescendone i suoi difetti.
Quando cammino per le strade della mia città sono conscio di starmi trovando di fronte ad una cultura storicamente vastissima. E questo grande contrasto, tra vecchio e nuovo, tra sacro e profano, rende le mie passeggiate fotografiche mai noiose o ripetitive. Napoli va capita, ma soprattutto va percorsa a 360°.
Tanta cultura, ma anche tanta ironia nelle tue immagini. Credo sia palese il tuo amore per la fotografia umanista e per i suoi principali fautori
Mi hai beccato. Si, tutto il blocco relativo alla fotografia umanista francese è stato di riferimento per me in questi anni di crescita come autore. Anche se, parlando di mentori, devo dirti che ho ricevuto il maggior apporto ispiratore dai lavori di Sergio Larrain e da quelli della compagine “rivoluzionaria” di William Klein e Robert Frank.
Trovo impossibile, nella mia concezione di fotografia, poter separare la strada dalla mia visione della vita. La strada torna sempre, e nelle immagini di questi autori viene fuori con una forza e un’indipendenza di difficile emulazione.
Raccontami della tua prima fotografia di strada
Me ne ricordo come se fosse ieri. Era una mutanda bianchissima appesa su un filo e stagliata su uno sfondo malmesso, sporco e trasandato. A Napoli il confine tra privato e pubblico si manifesta molte volte come un qualcosa di molto fragile ed effimero.
Sei dentro alla vita intima delle persone senza neanche accorgetene. Basta un passo, uno sguardo, per introdurti in contesti in cui la vita viene fuori in tutta la sua straordinaria fascinazione.
Adoro quando riesco a trovare queste dimostrazioni di umanità e di legame con le tradizioni. Mi strappano sempre un sorriso e mi fanno desiderare di uscire a fotografare più spesso.
E tutto ciò ha dato vita ad un libro dal titolo “Napoli”, giusto?
Il libro da te citato è un esperimento fatto da me per poter capire come organizzare, ordinare e sistemare al meglio tutto il mio lavoro realizzato in questi anni. L’idea di una monografia mi piace e cercherò, in un futuro prossimo, di portare avanti questa mia narrazione per dare vita ad un qualcosa di più concreto.
Dalle tue immagini sembra essere magnifico fotografare in questi luoghi. Cosa consigli a chi vuole scattare della buona fotografia di strada a Napoli?
Si, è vero, è meraviglioso scattare qui. A chi vuole inoltrarsi per le vie di questa città, consiglio di percorrerla in lungo e in largo. Di non farsi trasportare o condizionare da immagini preconcette e, soprattutto, di divertirsi. Fotografare a Napoli è un’esperienza che andrebbe fatta almeno una volta nella vita.
Previsioni per il tuo futuro?
Spero di poter continuare a fotografare, senza il peso di dover rendere conto a nessuno. Spero inoltre di potermi togliere qualche soddisfazione. Anche piccola, ma quanto basti a farmi capire che sto lavorando bene.