Clacson. Il traffico è assordante. Un taxi si è appena fermato sul marciapiede per far salire un cliente, mentre un altro, guidato da un tassista dallo sguardo torvo, e dal portabagagli mal ridotto, lo supera infastidito, per aver visto perdere l’ennesimo introito della sua giornata.
New York è bellissima di questo periodo. Il sole splende e la luce lambisce le vetrine di negozi ricolmi di oggetti inutili e di persone intente a far compere e a scontrarsi con qualche sconosciuto per conquistarsi l’ultimo capo firmato di un noto marchio europeo.
La folla è immensa, occupa le strade, come un ape rilucente che ronza intorno ad un fiore appena sbocciato, e tra chi sfoggia un nuovo oggetto di tecnologia, e chi danza cercando di attirare l’attenzione di qualche passante, è possibile scovare qualcuno intento a far tutt’altro: un fotografo, Giacomo Brunelli, che con la sua fotocamera a pellicola cerca di capire qualcosa di più questa città, di farla sua e di conservarla nel cuore.
Da questo intento, da questa necessità di scoprire i segreti dietro al luogo più famoso del mondo, nasce la serie “New York”, diventata ben presto un libro edito Skinnerboox, e pretesto per risolvere un sogno da anni nel cassetto di Giacomo: farsi ispirare ed affascinare dalla città delle mille opportunità.
New York è colore, folla e rumore. L’abbiamo vista infinite volte catturata da tanti fotografi di strada americani, e non, che ne abbiamo ormai un’idea ben struttura e difficilmente scardinabile in testa.
L’abbiamo vista ripresa dai registi più scorbutici e geniali di tutta la faccia della Terra e raccontata, nei suoi paradossi e nelle sue bellezze, da scrittori dall’incredibile talento.
Ma la New York presentataci in questa serie, fatta di bianco e neri dettagliati, oscuri e decisi, non è la New York a cui siamo abituati o, almeno, non a quella contemporanea fatta di scene grottesche e di esagerazioni quasi istrioniche: è una New York oscura, una Gotham della dimensione fumettistica soggetta all’allucinazione, all’incubo e all’inquietudine.
Una New York diversa, inglobata dentro il pacchetto turistico di questa città e scovabile solo da chi sa andare oltre le facili suggestioni e persuasioni. Una New York sondata nel profondo, nei suoi bassifondi morali ed estetici.
Vedendo le fotografie di questa serie abbiamo fin da subito la sensazione di starci trovando di fronte a delle testimonianze di un voyeur, quasi paranoico, e forse minaccioso, catapultato dentro un mondo sconosciuto e desideroso di scoprirlo nella sua essenza.
Giacomo si muove come un detective: si guarda intorno, a destra e sinistra, per poi posare lo sguardo sul terreno, o su un tetto, dove l’uomo comune non guarda, ma dove spesso risiede la verità.
Un uomo con una bombetta, una donna in attesa dell’arrivo di un pullman e un ponte adombrato in cui sta passando, sospettoso, un navigatore in una barchetta: tutti elementi di questo maestoso immaginario, che strizza l’occhio ad Hitchcock e alla filosofia zavattiana.
Il mondo è pieno di prove, di manifestazioni di vita e il fermarsi solo alla superficie delle cose è un atto di arresa nei confronti del grande gioco dell’esistenza umana.
Il silenzio imperversa in queste immagini. Percepiamo una strana sensazione, come un rumore ovattato che viene da lontano e che ci disorienta nella nostra interpretazione dei fatti. Ci stanno chiamando? O siamo in preda a qualche allucinazione?
L’impossibilità di poter riconoscere il volto dei soggetti, e il loro vestiario quasi classico, privo di appigli con il mondo moderno, ricoprono di mistero e di tensione questi attimi, che diventano immediatamente senza tempo.
Dettagli, sprazzi di realtà intraviste da un sonnambulo che vaga, senza meta e destinazione, per le strade della città. Una composizione emotiva e temporanea di attimi sfuggenti e destinati a scomparire per sempre.
Giacomo li raccoglie, nel suo personale diario di viaggio, e cerca di trovare un filo comune, una risposta che gli permetta di poter comprendere cosa questa città abbia davvero da dirgli. Nemica o amica? Chiusa o disposta al dialogo?
Noi come spettatori di queste manifestazioni diafane di realtà ci chiediamo dove ci troviamo, cosa stiamo guardando e se i soggetti che abbiamo davanti siano reali, dei fantasmi o delle controfigure pagate per rimanere lì a dare lustro a questo immaginario.
Sono più le domande che le risposte e nella New York di Giacomo Brunelli, travestita da un film noir degli anni cinquanta - pur trovandoci nel 2020 - ci culla dentro una dimensione ambigua, inquietante ma straordinariamente intrigante.
Qualcuno direbbe che ci piace vivere nell’incertezza e nel passato, e che l’inquietudine ci affascina come una droga sconosciuta, ma la realtà dei fatti è evidente ai nostri occhi: ne vogliamo sapere di più. Ne vogliamo vedere di più.
Ci siamo di cascati di nuovo: New York ci ha ammaliato e questa serie elaborata da Giacomo non può che spingermi a vivere, per l’ennesima volta, il sogno americano — o l’incubo, in questo caso.