Diciamocelo con onestà. L’idea che abbiamo dei musei moderni, soprattutto quelli statali, è imperniata di grandi misticismi e diversi pregiudizi.

Da come ce li raccontano, e da come ce li mostrano online, sembrano tutti essere dei luoghi astrusi, antiquati e privi di materiale interessante: degli enormi sarcofagi atemporali adibiti alla sola preservazione del meritevole e del già morto da tempo.

La sensazione che proviamo, quando varchiamo le soglie di questi strani ed alieni ambienti, è quella che ci giri dentro sempre la stessa gente, spesso inconsapevole e capitata lì per caso, e le stesse opere, congelate in quello spazio e mai prese fin troppo sul serio.

I musei, gridiamo tutti a gran voce, sono una vera e propria noia mortale!

Thomas Struth, fotografo tedesco e grande studioso dei comportamenti umani, non ci crede poi tanto mica a questa definizione. Per lui i musei nascondono ben altro che semplici manifestazioni di espressioni anacronistiche e ce lo dimostra sagacemente con la sua serie fotografica “Museum Photographs”.

Chicago, 1990 © Thomas Struth

“Museum Photographs” è una raccolta di fotografie scattate in giro per i più importanti musei internazionali. Thomas ha a cuore la storia dell’arte e il Museo in quanto istituzione e il vederli messi da parte, o mal capiti, da una società che vive ormai solo di immagini, lo ha spinto ad analizzare il fenomeno in maniera ancora più approfondita.

Le sue fotografie, frutto di ore ed ore di attesa spasmodica di fronte all’obiettivo, ci mostrano il rapporto, intimo e latente, tra gli usufruitori dell’arte, cittadini, turisti e critici, e le opere esposte nei musei.

Secondo Thomas esiste un sottile filo che unisce la visione creata dal pittore nei quadri e quella degli spettatori che si interfacciano ad essi. È come se la distanza, normalmente perseguita tra due le parti, fosse il primo contatto, la porta d’accesso verso un mondo inesplorato.

Lo spettatore, quando ammira un’opera d’arte, rimane in silenzio, cerca di farsi trasportare, cerca di capire il perché l’opera sia diventata così famosa — nascondendo, quando possibile, il suo stupore o la sua incapacità analitica.

Si ferma di fronte a quelle manifestazioni di artisticità e crede di essere l’unico essere vivente sulla faccia della Terra a star assistendo a queste visioni magistrali di colori e forme.

Roma, 1990 © Thomas Struth

Da questa prima apertura nascono le prime manifestazioni di umanità, le più disparate e le più esilaranti. Il museo, spazio sacro ed inviolabile, diventa, varcata la porta dell’edificio sontuoso e granitico, un palcoscenico grottesco e quasi apocalittico.

Ed è facile capire il perché. Le persone strabuzzano gli occhi, fanno boccacce, girano intorno alle opere ed assumono dei comportamenti difficilmente riscontrabili altrove. Si gettano a capofitto dentro l’esperienza visuale loro proposta, o ne fuggono, adducendo come scusa il non aver interesse in quello che guardano ed usando il proprio smartphone come scudo.

Thomas Struth riesce a catturare tutte queste espressioni nelle sue fotografie e a fare un quadro, il suo personale, ma anche politico e sociale, di quella che è la società contemporanea e il suo rapporto con l’arte.

Riesce a farlo splendidamente, donandoci, con uno studio attento della composizione e del momento propiziatorio, queste visioni ampie e complesse degli spazi interni. Quello che ne viene fuori è un quadro che guarda il quadro e che guarda noi, in un processo visivo che rasenta quasi l’incredibile.

Fare una fotografia è per lo più un processo intellettuale di comprensione delle persone, delle città e delle loro connessioni storiche e fenomenologiche. A quel punto la foto è quasi fatta, e tutto ciò che rimane è il processo meccanico.

Thomas Struth

Se già questo non bastasse, c’è un altro particolare che rende le fotografie di Thomas Struth davvero uniche. Guardando bene le sue immagini possiamo notare una forte predisposizione nella creazione di trame intrigate tra sfondo e soggetto.

Thomas cerca di mantenere in vita, grazie alla giustapposizione dei piani, i quadri e le opere esposte, immergendo l’osservatore, quello che guarda l’opera, e quello che guarda la fotografia, dentro i mondi a lui contrapposti.

I quadri vengono fuori dalla cornice, sono vivi ed avvolgono l’osservatore e l’ambiente dentro le loro narrazioni, dentro i loro ecosistemi. Si crea così un dialogo, un’unica linea temporale in cui tutto si trasforma e in cui tutto si energizza e si stimola a vicenda.

L’arte viene meno alla sua sacralità e al suo spirito di onnipotenza, per raggiungere, per pochi istanti, il piano inferiore, quello triviale, quello degli uomini. Gli uomini, a loro volta, raggiungono il paradiso, toccando per pochi istanti il sublime e sognando di rimanervici invischiati per sempre.

Una sorta di patto segreto, quasi diabolico, che tutti accettano tacitamente e che portano avanti fino alla chiusura delle porte d’ingresso. Da lì si torna poi a casa, a rivivere la stessa noiosa vita di prima.

In questo processo l’arte vive e la fotografia, ancella della pittura, per usare un definizione storica e ormai priva di presa emotiva su di noi, l’aiuta a rendersi presentabile al pubblico moderno.

So cosa starai pensando, alla fine è tutto frutto dello studio delle inquadrature e della curatela, ma in realtà è anche il rivelarsi di un rapporto magico che va oltre il fisico e il tangibile. I musei nascondono dei segreti e, dopotutto, come ce li mostra Thomas Struth, non sono poi così tanto male.

Le “Museum Photographs” sono una gioia per gli occhi. Vederle esposte, ancora oggi, nei musei di tutto il mondo ci fa comprendere come il fotografo tedesco abbia raggiunto il suo obiettivo e paradossalmente, abbia creato un nuovo problema, un vero cortocircuito visuale: le opere fotografate, e quello che le circonda, sono quasi più belle degli originali.

E chi glielo dice ora a Rembrandt?

Chi è Thomas Struth?

Thomas Struth (Gheldria, 11 ottobre 1954) è un fotografo tedesco, noto soprattutto per le sue gigantografie e per le sue serie fotografiche ricche di elementi visivi. Puoi visitare il suo sito web qui.

Fonti utilizzate:
  1. La fotografia di Thomas Struth (fotografiaartistica.it)
  2. L’arte di rendere visibile l’invisibile (artslife.com)
  3. Thomas Struth And The Beauty Of Museum Photographs (art-sheep.com)

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