Una volta era impensabile, se non molto strano, immaginare un fotografo alle prese con un soggetto così anormale: <<Fotografare i manichini? Siete dei folli!>> direbbe un qualsiasi uomo dell’epoca ottocentesca.
Oggi grazie ai lavori di autori come Lee Friedlander, e il sempre verde Eugene Atget, sappiamo bene che abbiamo di fronte uno strumento per le nostre fotografie di strade potenzialmente illimitato. E allora: che stiamo aspettando?
I manichini: i portavoce taciturni della società contemporanea
I personaggi delle nostre scene fotografate sono di fondamentale importanza, lo sappiamo bene. Uomini, donne, bambini, e qualsiasi altra forma vivente/non vivente presente nel nostro pianeta, diventano altro all’interno della nostra storia, all’interno di quel rettangolo significante chiamato fotografia.
La capacità di saper trovare un punto di vista differente è il pane quotidiano per i fotografi di strada che ambiscono a costruirsi un linguaggio proprio, attuo a farsi largo, in questo mondo sempre più agguerrito. Ed allora perché non rischiare con qualcosa di davvero molto inquietante — a tratti surreale — come i Manichini: i portavoce taciturni dell’ecosistema della moda moderna e non.
Un gioco da ragazzi direte voi: sono lì fermi ad aspettare che qualcuno li accolga all’interno della propria immagine. Immobili. In una condizione di apparente sofferenza — o almeno ci sembra così, essendo molto “simili” a noi in termini di fattezze. Ed è proprio qui che sta il gioco, in questo rapporto ambiguo tra uomo e sua rappresentazione.
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