In Sicilia, il rapporto tra sacro e profano rappresenta un ascendente a cui nessuno può sottrarsi

Chi non ha vissuto in Sicilia non può comprendere la natura dei suoi contrasti. Non è solo una questione di lingua, che in ogni porzione di questo selvaggio territorio si punteggia di migliaia di sfumature e colori, e neanche di mentalità, diversa e forse unica rispetto a tutto il panorama italiano: è più una questione atavica, che tocca l'inscindibile legame che connette il siciliano alla sua terra, alla religione cattolica, a quella sfera viscerale della storia collettiva di un intero popolo, che come un certificato acquisito al momento della nascita, influenza inderogabilmente ogni rapporto con il tema del sacro, i suoi riti, i costumi; e di conseguenza, come in tutti i dualismi del caso, con la sua controparte, il profano.

Un dualismo ancestrale, che solo un siciliano, e pochi del Sud Italia, possono comprendere a pieno, perché quello che per tanti può rappresentare un vezzo ormai privo di valore, per i siciliani è una tara fondamentale delle proprie scelte. Un tratto distintivo, come ti dicevo, della propria carta d'identità, a cui nessuno, neanche il più ateo, può sottrarsi del tutto. La terra e la religione in Sicilia comandano, e dettano leggi su ogni uomo.

Il 28 Marzo, presso gli spazi di Piazza Scammacca a Catania, sacro e profano brinderanno insieme all'interno di un mostra allestita dentro il primo mercato metropolitano della città. Le fotografie sono di Antonio Turchi, che mi rivela subito, al seguito di una brevissima intervista, di essere rimasto stupito quanto me di questo straordinario connubio tra le parti, che lui definisce, senza mezzi termini, «irresistibile e disarmante, un dualismo che ho capito solo nel tempo che stesse condizionando il mio modo di raccontare il mondo».

Antonio ha deciso di prendere il tema del sacro e profano e farne materia di indagine approfondita; con una mostra, il luogo di condivisione per antonomasia (la curatela è di Mario Caristi). In vista dell'inaugurazione della sua "Né sacro né profano", mi sono fermato qualche minuto con lui per comprendere meglio come la fotografia di strada si inserisca in questo delicatissimo dialogo e quali ascendenti abbiano, alla fine dei giochi, il sacro e profano nella sua quotidianità.

Intervista

Da siciliano, mi sono ritrovato in diverse tue fotografie. Ho percepito la sacralità di alcuni contesti e la visceralità che solo le strade catanesi riescono a darti. Al contempo, però, - e qui è strano da spiegare -, il tuo stile comunica con elementi e colori che travalicano la fotografia di tradizione siciliana. A vederla, sembra quasi cinema, pubblicità, sogno. Lo trovo un contrasto affascinante. Come spiegheresti ciò?

Molto probabilmente questo miscuglio di elementi e approcci alla materia fotografica è dovuta al mio percorso fotografico, che ha visto in Milano una tappa fondamentale per la mia crescita artistica e professionale. Fin da piccolo, sono sempre stato affascinato dalle arti visive. Come tanti, ho iniziato a fotografare prima i paesaggi e poi volti dei miei genitori. Ma è solo a Milano (nel lontano 2008) che ho iniziato a comprendere come ci fosse altro, come la strada - soprattutto quella milanese - fosse un contenitore ricco di stimoli, veloci, immediati, folgoranti, come la città lombarda, in cui immergersi e lasciarsi trascinare. Milano era per me il ritratto dell'ordine e della visionarietà.

"Né sacro né profano", 2024. Fotografia di © Antonio Turchi

Da quel momento ho iniziato a studiare, a guardare mostre e a condividere esperienze con altri fotografi. E, ovviamente, a fare lunghe camminate, nel tentativo di trasformare quello che avevo in testa e nel cuore in immagine. La fotografia di Gustavo Minas e Saul Leiter mi hanno accompagnato nel percorso, e da lì forse viene il gusto per il colore e la poesia in strada, oggi al centro della mia ricerca - ma c'è anche tanto di cinema, da cui prendo spunto.

Tornato in Sicilia è stato quindi per me naturale continuare a vedere la strada in quel modo, pur consapevole che le cose qui fossero molto diverse. Non so come spiegartelo. È una sfida giornaliera quella di mettere ordine in un impianto cittadino come quello siciliano. Qui i colori sono diversi, più intensi; i contrasti più evidenti; la gente più vicina. Lo sforzo di trovare un equilibrio tra le parti alimenta tuttora il mio linguaggio fotografico. Solo qui, insomma, poteva nascere il racconto del sacro e profano.

Quello del sacro e del profano è un argomento che vede spesso protagonisti i territori del Sud Italia. I motivi sono molteplici e in molti casi imputabili alle tradizioni secolari o alla famiglia in cui si è nati. Nel tuo caso, com'è nata l'idea di farne una mostra?

Mi capita spesso di guardare con attenzione il mio archivio. Trovo sempre materia su cui riflettere o immagini su cui puntare. Recentemente, ho potuto notare il reiterarsi di una strana abitudine, quella di cercare connessioni tra il popolo e la religione cattolica, tra quello che riteniamo sacro e quello che è, invece, profano. Non so perché, ma contrappongo costantemente croci, simboli e figure religiose ad oggetti o soggetti della quotidianità. Il mio fiore all'occhiello, croci piantate nella testa dei passanti. Mi imbarazza dirlo. Dovrei forse farmi controllare da uno psicologo [ride].

"Né sacro né profano", 2024. Fotografia di © Antonio Turchi

Il tema mi interessava molto e molto aveva a che fare con il modo che ho tuttora di raccontare la strada: una visione, che attraverso il colore e la gente, riesce a toccare sfumature del quotidiano che vanno oltre il visibile. Scovato questo possibile percorso, ho subito raccolto il materiale che ritenevo più giusto. La mostra è stata la diretta conseguenza di un ragionamento molto semplice: volevo costruire un contenitore dove le persone potessero assistere all'incontro fortuito tra sacro e profano.

Un ambiente che non fosse digitale, ma fisico; che svelasse storie invisibili e contraddizioni evidenti mettendole tutte sullo stesso piano. Senza però giudicare o dare una direzione precisa allo sguardo. È il pubblico a scegliere da che parte stare. Catania era il luogo giusto dove esporre, essendo qui, più che altrove, labilissimo il confine tra le parti.

Nella narrazione di cosa sia sacro e profano, hai scelto di rendere evidenti due percorsi prestabiliti: il sacro è la religione; il profano la strada e la sua gente. Detta così sembrerebbe essere una dualità già vista altrove, tuttavia il binomio non si esaurisce qui. Nel tuo progetto esistono infatti dei punti di contatto - come la fotografia delle suore che mangiano il gelato o il palloncino di Spiderman durante la festa di Sant'Agata - che contribuiscono ad aumentare l'ambiguità di questo «labilissimo confine». Il valore di quelle immagini, mi pare di capire, è cruciale nella riconoscibilità del tuo lavoro

Si! Era fondamentale per me lavorare con elementi che potessero mostrare il sottilissimo confine che si interpone tra l'ambiente urbano e quello religioso. Un confine che pensiamo definitivo, irremovibile, ma che in realtà non lo è.

"Né sacro né profano", 2024. Fotografia di © Antonio Turchi

Nelle mie intenzioni, c'era infatti il desiderio di svelare le piccole sfumature che si intersecano nelle pieghe di questo stranissimo rapporto e, in contemporanea, mettere in discussione dogmi e concetti attorno alle parole di sacro e profano. Cos'è alto? E cos'è basso? Le due cose sono parti della stessa creatura? In questo genere di narrazione, la scelta dei soggetti e delle scene è cruciale per la riuscita delle immagini. Nel tentativo di mantenere l'equilibrio tra le parti, i punti di contatto giocano un ruolo di grande importanza.

Hai avuto dei tentennamenti di fronte al sacro e al profano? O, per dirla meglio, ti sei posto dei limiti nel racconto di una delle parti, magari affrontandola diversamente? E a quale sei più vicino?

Ti direi di no. Sicuramente con i temi religiosi ho mantenuto più decoro. Pur essendo molto critico nei confronti di come venga oggi interpretata e vissuta la religione, ho cercato di rimanere il più possibile oggettivo, giusto. Questo ha ovviamente condizionato alcune delle mie immagini. Ma era naturale che fosse così. Sono profondamente più vicino al profano, ma questo da sempre [ride].

Mi hai parlato prima di equilibrio, di un sacro e profano che si interpongono in strada, senza mai interrompersi a vicenda. Io ci vedo, anche grazie a quelli che sono i colori e le atmosfere delle tue fotografie, una sorta di purgatorio in terra, un luogo di confine, appunto, dove il destino delle anime è in attesa di giudizio, dove bastano pochi passi falsi per elevarsi al divino o scendere definitivamente nell'empio. Proveremo le stesse sensazioni guardando la mostra esposta a Piazza Scammacca?

Spero proprio di si! La mostra cerca di restituire quelle stesse sensazioni che tu hai citato prima. Sono venti immagini. La curatela è molto semplice. Le fotografie sono disposte alla stessa altezza - dimensioni simili - e propongono un percorso che va dal sacro fino a toccare il profano. È il pubblico a scegliere da dove iniziare e come posizionarsi emotivamente. È tutta una questione di prospettive. Non c'è giusto o sbagliato.

"Né sacro né profano", 2024. Fotografia di © Antonio Turchi

Una libertà di scelta che è visibile anche nel modo in cui sono esposte le opere. Con Mario Caristi (il curatore della mostra) abbiamo infatti pensato di rendere maggiormente evidente l'ambiguità del confine che intercorre tra le varie fotografie, scegliendo di presentarle su una rete elettrosaldata piuttosto che sul muro bianco. Così sa più di strada e di fotografia candid, no?

Come pensi risponderà il pubblico? Rimarrà indignato da questa promiscuità tra sacro e profano? Oppure, come immagino, sfrutterà il momento per riflettere e sorridere?

È difficile dirlo! Spero che il pubblico possa intravedere in questo lavoro un pretesto per poter ragionare sulla magia della strada e su come i rapporti tra le cose - anche se apparentemente distantissime - non siano poi così immutabili. La mia fotografia di strada, dopotutto, non è altro che una risposta visiva a stimoli interni ed esterni. Non miro a cambiare il mondo, ma solo a mostrarlo tramite la mia lente di ingrandimento, fatta di emozioni, pensieri ed imperfezioni. Sono sicuro che il pubblico capirà benissimo cosa volevo raccontare, perché, alla fin fine, è tutto un grande film che ci riguarda.

Chi è Antonio Turchi?

Antonio Turchi (Messina 1983) - da sempre appassionato di arti visive e affascinato dalla capacità comunicativa delle immagini. Spontaneità e imprevedibilità sono elementi fondamentali nella mia fotografia, dettagli e situazioni riguardanti il rapporto tra uomo e ambiente che lo circonda. La mia visione nasce da un'intuizione o da un coinvolgimento emotivo stimolato da una scena. La macchina fotografica mi permette di non rimanere in superficie. Prediligo colori, riflessi e contrasti profondi di luce e ombra. Qui il mio Instagram.

Nè Sacro Nè Profano

Mostra di Antonio Turchi. Apertura 28 Marzo ore 18:00 (Piazza Scammacca, Catania). Visitabile fino al 12 Aprile.

Maggiori Informazioni ◎

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