Il primo contatto con la fotografia stampata avviene da piccoli, in quello che è un rituale che unisce e conforma ogni famiglia italiana, dalle più ricche a quelle più indigenti: lo sfoglio dell'album fotografico. Questi dispositivi massicci, obsoleti, ammuffiti, sono i custodi della memoria individuale di intere generazioni e per questo, come feticci, riposti con tanta cura tra le mura domestiche.

Molti di loro fanno ancora capolino nelle librerie, a metà tra una raccolta di ricette scritta da nonna e un paio di videocassette Disney, tanti altri, invece, sono stati sostituti dalla loro controparte digitale, quella del cloud e delle cartelle tematiche. Seppur gli album abbiano cambiato veste nel tempo, il loro scopo rimane immutato: conservare, gelosamente, la memoria di qualcuno o di qualcosa, ponti privilegiati tra passato e presente. Non esiste niente di meglio al mondo.

Di questo concetto, qualcuno, gli ha costruito attorno un progetto editoriale. Lui è Stefano Frosini, che con il suo Pictures From Italian Profiles, un enorme album collettivo attivo su Instagram, e da poco diventato un libro stampato da GOG, cerca di raccontare alle nuove generazioni, nelle loro piattaforme, la vera essenza dell'italianità, dell'archivio e del vivere in famiglia, in piena salsa vintage. L'ho raggiunto per farmi raccontare la sua incredibile storia.

Intervista
Dal cartaceo allo smartphone, fino ad arrivare alle cartelle sui cloud. Quello dell'album di famiglia sembra essere un medium ancora molto vivo. Che rapporto hai con esso?

Continuo a vederlo come un totem della mia infanzia, uno di quegli oggetti magici che uscivano dal cassetto per essere maneggiati con la delicatezza e il rispetto che si deve a ciò che rappresentano, cioè la materializzazione di ricordi, di luoghi, di persone, di legami che il tempo inevitabilmente ha trattato con meno clemenza di quanto può fare una stampa ben conservata.

Parlo dell’infanzia perché tra le memorie che rimangono impresse in me c’è quella di mia madre che tira fuori gli album per sfogliarli dopo i pranzi della domenica o delle feste, insieme a parenti vicini e lontani. Io bambino mi spazientivo dopo qualche pagina, perché tante di quelle facce antiche non mi dicevano nulla, ma rimanevo nei paraggi, ad assistere curioso a come quelle stesse facce fossero in grado di risvegliare nei “grandi” reazioni intense, che andavano dalle risa incontrollate ai pianti dimessi di nostalgia. Non mi pareva che in casa ci fossero altri oggetti, oltre a quei tomi zeppi di foto, in grado di provocare una tale esplosione di emozioni differenti.

Lo capii meglio, a mie spese, alcuni anni più tardi, quando ne aprii uno proprio alla pagina in cui campeggiava il muso malinconico di Dadi, il cane di quando ero bambino, che una macchina troppo veloce si era portato via. A partire da quel momento, il potere emotivo dell’album fotografico mi fu perfettamente chiaro.

Pensi sia lo stesso per le nuove generazioni?

Credo che l’album di famiglia non possa perdere il suo fascino nel tempo proprio perché, al contrario, è il tempo ad amplificarne la forza evocativa. Sfogliare foto del nostro passato, o dei nostri genitori e parenti, riesce a catapultarci altrove, un altrove che però è già sommerso dentro di noi, e che attraverso le immagini sembra gridare a piena voce, quasi con disperazione, di essere riportato in superficie. Inoltre, come ho accennato, l’album fotografico è l’unico “libro” che tutta la famiglia si ritrova a sfogliare unita, compatta, poiché nel ricordare insieme il passato ritroviamo un’armonia e una concordia non sempre scontate.

È per questo motivo che alla fine anche PFIP ha assunto la forma del libro/album, volevo riavvicinare il progetto ad una dimensione materiale nella quale credo che la fotografia raggiunga una sorta di piena realizzazione.

Di PFIP (Pictures from Italians Profiles) mi ha sempre colpito il suo essere tremendamente familiare, colloquiale, pur prendendo come riferimento immagini di perfetti sconosciuti. Come nasce l'idea di questo grande archivio collettivo?

PFIP nacque quando per me iniziò la lenta morte di Facebook, che era all’epoca, nel 2017, il luogo virtuale che frequentavo maggiormente, tanto per motivi di studio, quanto per godere dei contenuti, per lo più memetici, che tante pagine italiane e straniere offrivano.

Mi parve che il social stesse entrando in un inesorabile declino non tanto per la quantità di utenti attivi, quanto per la qualità sempre più precaria dei contenuti che offriva. Così iniziai ad abbandonare molte community e pagine per addentrarmi in zone più nascoste, pensate per cerchie ristrette e sicuramente diverse da quelle che avevo frequentato fino a quel momento; durante questa “indagine”, i profili di utenti sconosciuti mi si rivelarono come ricchissimi archivi fotografici inesplorati.

Profilo Instagram di © Pictures From Italian Profiles

Per conservare e riunire le più belle delle immagini che incontravo, iniziai a ripubblicarle in una pagina dedicata, che per molti mesi rimase un progetto di fatto sconosciuto, col solo scopo di essere ciò che era per definizione: una raccolta di fotografie tratte da profili italiani.

Soltanto in seguito, quasi per caso, quel progetto piccolo e sostanzialmente privato, conobbe il grande pubblico, che proponendomi le immagini lo trasformò in un grande archivio collettivo e condiviso.

L'intento di fondo qual era?

Ciò che mi colpiva e mi colpisce di quelle immagini è la loro totale spontaneità, la loro bellezza intuitiva, gratuita, priva di qualsivoglia velleità concettuale o finezza tecnica. Sono gli scatti quasi scappati di mano, fatti per caso, per lo più in contesti familiari, e finiti in mezzo ad altri mille privi di quello stesso fascino.

Ancora oggi fatico a verbalizzare che tipo di fotografie cerco e pubblico, ma questa difficoltà viene meno in fase di selezione, durante la quale capisco immediatamente di trovarmi davanti allo scatto giusto. 

Pubblicare queste foto ha significato nel tempo costruire una storia che si compone di elementi slegati fra loro ma che, se osservati “dall’alto”, complessivamente, rivelano una fitta rete di corrispondenze, più o meno esplicite. Soltanto attraverso quella rete, col suo caos congenito e la sua varietà, la pagina tenta di raggiungere uno scopo: parlare del nostro Paese liberandosi dei fardelli estetici di cui le molte narrazioni ufficiali, patinate e non, raramente riescono a fare a meno.

Una missione non da poco. Immagino che gestire la fase di selezione, in tal senso, sia ancora più difficile e gravida di aspettative

Inizialmente ho speso molte ore nella ricerca, che si svolgeva come ho detto tra i profili, ma non solo: sono vere e proprie miniere d’oro anche le pagine dedicate ai circoli, alle Pro loco e alle attività comunali e paesane. Parallelamente a questo enorme (ma piacevolissimo) lavoro di ricerca, si svolgeva un’inevitabile e attenta selezione, che è servita e serve a dare a PFIP il volto che ha assunto negli anni.

La tentazione di assecondare alcuni elementi ricorrenti, più o meno stereotipati, naturalmente c’è stata, anche nel tentativo di guardarli da una prospettiva differente e dunque di risignificarli, tuttavia ho sempre evitato di ripetere troppo a lungo formule che, benché funzionanti, proprio nelle riproposizioni eccessive rischiavano di sminuire o banalizzare tutta la raccolta.

Oggi il lavoro di ricerca è molto ridotto, perché gran parte delle immagini sono inviate direttamente dagli utenti. Rimane invece il lavoro di selezione, che talvolta porta gli stessi utenti a storcere il naso, perché sentono in qualche modo che le loro aspettative sono state tradite. Credo però che se avesse soddisfatto sistematicamente quelle aspettative, il progetto avrebbe presto annoiato tanto me quanto il pubblico e si sarebbe fermato nel giro di pochi mesi.

Tante immagini sono passate dalla pagina e tante di queste hanno generato numerosi commenti. Cos'hai potuto notare della nostra cultura dopo aver raccolto e osservato migliaia di ritratti provenienti da tutta Italia? 

L’elemento che più di altri continua ad emergere è proprio la separazione, talvolta anche molto netta, tra quello che gli italiani sono e quello che generalmente credono di essere. Di conseguenza trovo interessante come spesso l’identità collettiva sia legata a usanze e comportamenti ricorrenti, spesso involontari e fortuiti, e non invece a quell’idea astratta di “Italianità” che più o meno inconsciamente abbiamo incamerato e adottato come modello estetico ufficiale a cui poter fare sempre ritorno, solo perché ci hanno detto che è un rifugio sicuro. 

da © Pictures From Italian Profiles

Trovo che spesso, fotografando distrattamente nei momenti di convivialità, diamo forma e sostanza a una rappresentazione quasi totalmente fedele, la stessa che ci sforziamo (invano) di restituire vagliando per ore lo scatto giusto da condividere sui social, e che di solito però rappresenta solo la nostra idea di noi, momentanea e falsata su tanti diversi livelli.

Come dici tu, sono proprio questi rari momenti di convivialità, intimità e normalità che farciscono gli istanti più importanti della nostra esistenza. Una volta, questi, rimanevano però nell'album, oggi invece li ritroviamo sparsi sul web. Esiste per te un confine etico relativo alla pubblicazione di queste immagini online?

Il confine etico, se così lo vogliamo chiamare, è la volontà dei soggetti fotografati di uscire dagli album di famiglia per entrare (anche) nell’album di PFIP. Come spiegato, tale confine viene sempre tutelato, soprattutto ora che le foto sono prevalentemente inviate dagli stessi soggetti fotografati, dai familiari o dagli amici.

Sicuramente un modo da parte del pubblico di partecipare a quella che è, verosimilmente, una grande performance collettiva, alla Franco Vaccari. Cos'ha inciso maggiormente per te nel successo di questa operazione?

La giornalista Chiara Severgnini sul Corriere della Sera ha parlato della capacità di PFIP di essere fortemente “relatable”, cioè in grado di entrare in relazione con gli utenti attraverso esperienze emozionali che quegli utenti hanno già vissuto nella propria vita. Questo è sicuramente uno dei meccanismi consolidati dell’archivio: cercare quella “relazionabilità”, senza però cedere alla ripetizione troppo pedissequa degli elementi in cui più comunemente siamo portati a riconoscerci. 

Oltre ai molti messaggi che ricevo in privato, a dimostrazione di questa dinamica ci sono i commenti sotto le foto, che da una parte evidenziano come davvero le nostre infanzie e adolescenze siano passate sistematicamente da crocevia estetico/culturali quasi imprescindibili, dall’altra rivelano che tali “luoghi di riconoscimento reciproco” spesso sono stati rimossi dalla memoria collettiva, e dunque è la riscoperta a renderli così straordinariamente evocativi.

Un po’ come quando torniamo in un luogo che abbiamo visto l’ultima volta a 10 anni, e di cui a malapena rammentiamo l’esistenza.

C'è un’immagine, o un filone di queste, che ti hanno maggiormente colpito durante tutti questi mesi di ricerca?

Mi pare che nella sua semplicità, il filone delle foto di famiglia rimanga quello più potente e vario. Il rapporto tra generazioni diverse, così lontane e così vicine, spesso riunite sotto lo stesso tetto, genera situazioni tipiche, momenti ricorrenti, scene bizzarre, tenere, tristi. In questa straordinaria varietà la fotografia si insinua meglio e più efficacemente che altrove.

Un esempio fra tutti: le foto di compleanno, quelle che nascono quando si scatta un po’ come si agita una bacchetta magica, conoscendo formule che non sono legate alla tecnica o alla composizione dell’immagine, ma appunto all’istinto familiare, cioè alla fitta rete di gesti, espressioni, occhiatacce, pianti, risa incontrollate che il fotografo di quel momento sa captare “naturalmente”. 

da © Pictures From Italian Profiles

Tra questo genere di immagini, una delle più recenti, che mi ha colpito immediatamente, è quella di un ritratto di famiglia emblematico: madre e figlia, la prima, ancora giovane, appare serena e sorridente, intenta a girare un probabile sugo nella casseruola sul fornello; la seconda, preadolescente, di umore diverso, vagamente crucciata per chissà quale piccolo torto ricevuto (qui sopra allegata).

A legare le due figure, un abbraccio della ragazzina alla madre, cercata come luogo di riparo e consolazione. Ma con quell’abbraccio la figlia cinge la madre soltanto per il gomito sinistro, consapevole di non poterla stringere completamente, col rischio di impedirla nei delicati movimenti richiesti dalla preparazione. La tenerezza e la limpidezza di quel gesto trattenuto magnificano tutta la scena.

Momenti, che seppur banali nella loro iconicità, ci uniscono come parte di un'unica comunità e in cui tutti, chi più chi meno, si ritrovano. È forse questa, nella sua spiazzante verità, la forza di PFIP?

È evidente come, di foto in foto, PFIP stia generando nel pubblico, o almeno in una parte, un sentimento di appartenenza che va oltre la mera fruizione un po’ distratta di “foto buffe” del web. Tuttavia, credo che l’elemento di italianità ritrovata e condivisone nostalgica di certi luoghi dell’anima nostrani, per quanto assecondato e in certi casi cercato, si trovi su un livello comunque esposto e accessibile.

Quello che capita più raramente, e che forse era lo scopo inconscio della pagina fin dai suoi albori, è che gli utenti realizzino come queste foto potrebbero tranquillamente fare a meno della componente identitaria e nazionale, senza rimetterci in bellezza o “scarnificata umanità”, come l’ha definita lo scrittore Alessandro Gori.

D’altronde, a tutto pensavano coloro che le hanno scattate, fuorché a creare una testimonianza sincera di italianità. Non a caso uno dei commenti di dissenso che mi trovo a leggere più di frequente, recita più o meno così: “Ma in questa foto non c’è niente di italiano!”. E meno male, vorrei rispondere.

Chi è Stefano Frosini?

Stefano Frosini è un insegnante di Lettere. Si avvicina alla fotografia a quindici anni, con una Kodak compatta analogica. Dal 2017 cura l’archivio fotografico Pictures from Italian Profiles, pagina Instagram che conta più di 100.000 sostenitori da tutto il mondo. L'archivio qui.

Pictures from italian profiles. Il libro, edito GOG (2021)
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