Provini fotografici. Una parola che per alcuni dirà qualcosa, e che gli strapperà, sono sicuro, più di qualche lacrimuccia, mentre ad altri, soprattutto ai più giovani, non dirà assolutamente nulla. Oggi, parlare di provini fotografici, è come riesumare una storia che risale ad un millennio fa, senza però renderci conto che in realtà ci tocca un pò a tutti.

Basta dare un’occhiata alle nostre soffitte o a quei cassetti che non apriamo da anni, per paura di trovarci storie contorte della nostra famiglia o creature fantastiche, che nel mentre, senza dirci nulla, hanno creato un ecosistema con figli e parenti, per trovarne a bizzeffe e di differenti forme.

Eppure ancora oggi, pur essendo immersi nel digitale, e pur avendo a disposizione un quantitativo quasi infinito di immagini online, siamo ancora affamati di conoscere questo mondo e i suoi indicibili misteri.

Ma perché mai, questi oggettini fatti di cellulosa e plastiche di terza categoria, dovrebbe interessare a noi grandi uomini del XXI Secolo ormai assuefatti di pixel e video su Tik Tok?

Provini fotografici. Un tesoro inestimabile.

“Toglietemi tutto, ma non i miei provini fotografici” citava un’improbabile pubblicità televisiva in un mondo che ancora viveva di analogico.

Oggi le cose sono cambiate. Non tocchiamo più con mano le nostre fotografie: i i file RAW hanno sostituito la materialità del supporto, offrendoci un impalpabile corrispettivo dalle dimensioni quasi impensabili in passato.

Ma i provini fotografici hanno ancora molto da dirci. E spiegarti il perché dovresti attenzionarli è per me un grandissimo dovere.

I provini sono la parte più intima del lavoro di un fotografo. Farli vedere a dei perfetti sconosciuti equivale per loro a presentarsi nudi alla riunione condominiale e, se già questo non fosse abbastanza imbarazzante, farlo in una pessima forma fisica.

È per questo che i fotografi li tengono nascosti. Per loro sono come dei feticci, che in un improbabile classifica di feticci per fotografi paranoici, occuperebbero i primi posti, scalzando di misura anche la macchina fotografica.

Se vuoi davvero conoscere un fotografo, devi guardare i suoi provini fotografici.

Non c’è niente di complesso da capire. È tutto lì. I provini sono la raffigurazione di tutte quelle imprecisioni, ricerche, sbagli ed intuizioni che costellano la vita professionale di un fotografo e vederli, o anche solo toccarli, è un vero e proprio privilegio.

Perché l’idea che noi abbiamo delle grande immagini entrate alla storia è che siano tutte frutto di un solo colpo di agilità e fortuna ma, alla verità dei fatti, non è cosi.

I fotografi sono come dei cecchini nella nostra fantasia, ma nella realtà, sono più paragonabili a delle contraeree, che sparano all’impazzata, e che colpiscono, solo poche volte, il loro obiettivo.

Dietro ad una fotografia c’è ben più di quanto tu ti possa aspettare, e anche i grandi fotografi, prima di compiere il miracolo, passano da un percorso tortuoso fatto di errori madornali e posizioni scomode.

Ti chiederai, giustamente, cosa renda speciali questi pezzi di carta e perché valga la pena studiarli. Beh, se ancora non lo avessi capito, vedere un provino è come entrare nella testa dei tuoi beniamini.

Henri Cartier Bresson mentre osserva un foglio di provini fotografici.

In pochi secondi puoi scandagliarne ogni porzione, ogni anfratto, e percepire, se sei abbastanza sensibile, anche le emozioni che hanno provato al momento della realizzazione delle loro immagini.

In questo foglio magico vedi come si è mosso il fotografo, su che soggetti si è concentrato, quante volte ha scattato e quante volte ha cambiato posizione nell’arco di un tempo prestabilito. Non sarà un ecografia, ma è la cosa che si avvicina di più simbolicamente al concetto.

Con un foglio di provini hai in mano un mondo e molte volte ti offre più spunti che leggere un guida fotografica o addirittura la biografia dello stesso autore. E ti assicuro che, fotograficamente, spendere del tempo sopra a questi fogli, ti aiuta davvero a crescere come artista.

Io ho trovato rivelatorio leggere un volume della Contrasto, “Magnum. La scelta della foto“, che mi ha davvero aperto gli occhi. E non posso che consigliarti, già da ora, di fermarti qualche momento, e di dare un’occhiata, non solo alle fotografie dei tuoi beniamini, ma anche ai loro archivi.

Perché ad ammirare le fotografie belle che finite siamo bravi tutti, ma a saperne riconoscere tutti quei fattori e passaggi, che hanno portato ad esse, e al loro successo, non è un compito da stupidi.

I fotografi non sono supereroi. Anche loro sbagliano, sperimentano o consumano rulli su rulli sulle stesse porzioni di campo — con un grosso rischio di non cavarne neanche un ragno. Ed è a questo a cui serve studiare i loro provini: ricordarci come le buone fotografie siano frutto di sacrificio, perseveranza ed occhio.

Non esiste il solo colpo di culo, come dicono molti, e, quando presente, non è quello a rendere una fotografia unica nel suo genere. Iniziamo a prenderne atto.

E ora capisco tutti quei mal di schiena provati dai vari Bresson o Klein, che curvati sulle loro sedie, stavano ore ed ore a capire quale tra quei 32 fotogrammi si salvava dalla loro personale inquisizione.

I provini sono un bene inestimabile, è inutile tenerlo nascosto, ed ancora oggi, pur essendo tutti noi ubriachi di digitale, possono essere considerati un tesoro da non sottovalutare. Studiali e non te ne pentirai.

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