Siamo sempre lì, a citare eventi, fotografie e contesti che abbiamo solo visto di sfuggita, senza capirne, realmente, l'impatto storico. Accade fin troppo spesso di scorrere immagini con quell'irresolutezza tipica dei tempi moderni per poi abbandonarci, con amici, colleghi e parenti, a dialoghi soporiferi, in cui soggetti, bandiere, politica e storia imbastiscono una tavola traballante e dai facili risvolti inconcludenti.
Lo snodo chiave che ebbero le undici immagini del D-Day, denominate dalla critica "le magnifiche undici", fanno parte di questa cerchia di fotografie mai capite del tutto. Vediamo guerra, morte, corpi e proiettili e pensiamo di saperne più di chi, quei momenti, l'ha vissuti davvero.
Robert Capa, l'autore di quella che fu l'unica e comprensibile testimonianza dell'evento che sancì il declino dell'occupazione nazista in Europa, racconta, nella sua biografia "Leggermente Fuori Fuoco", di avere ancora ben impressi quegli istanti che precedettero l'arrivo dell'Inferno in terra.
E fidati, nulla e nessuno può descriverli meglio di lui.
Era una fredda e cupa mattinata del 6 Giugno del 1944.
Il sole non era ancora sorto e una corposa colazione, fatta di salsicce, uova, caffè e bacon era già sul banco, pronta ad accogliere, al risveglio, tutti i soldati, che di mangiare, in quel momento pregno di tensione, era l'ultimo dei loro pensieri.
Duemila uomini, fermi, in piedi, attendevano le prime luci dell'alba dentro i battelli, ancora ben saldi sulle navi. Il buio, freddo, silenzioso, aveva un volto amico, era una rassicurazione: finché la luce non si fosse presentata alla porte, la vita, incurante del pericolo imminente, avrebbe continuato a scorrere.
Ma il sole non poteva sapere che quel giorno sarebbe stato diverso da qualsiasi altro e si alzò, in cielo, come da consueto programma. Il D-Day, il giorno dei giorni, stava per avere inizio.
"Ben presto le crisi di stomaco distrussero il morale dei soldati. Ebbi così la sensazione che tutto questo avrebbe contribuito a fare di quel giorno il giorno dei giorni per antonomasia, il vero D-day" - Robert Capa
In quella mattinata Robert Capa scattò 106 fotografie, ma solo 11, per uno stupido, ma comprensibile, errore umano, vennero pubblicate il 19 Giugno su LIFE.
Il fotografo ungherese racconta di essersi precipitato immediatamente a scattare le prime fotografie al momento dello sbarco. Si trovava sulla plancia del battello, al sicuro, Contax sul collo, mentre i soldati fuoriuscivano, come api, da questi enormi alveari di acciaio e placche di metallo.
Proiettili, proiettili ovunque.
La luce era plumbea e una cortina di nebbia ricopriva tutta la costa. In attesa, su quel versante irriconoscibile, c'era il nemico, pronto a difendere la sua posizione a costo della vita.
L'esitazione, la paura e l'apprensione tennero paralizzati per minuti le truppe americane. Robert Capa, sulla navetta, guardava all'orizzonte, prendendo tempo: tempo, che in quell'istante, sembrava essersi fermato del tutto.
Il fotografo fu buttato nella mischia dal nostromo, che in quella situazione non voleva rimanerci un solo minuto di più.
Robert Capa nuotò, ansimante, appesantito dall'acqua che, nel mentre, gli riempiva incessantemente gli stivali e le tasche, e raggiunge, per coprirsi, una barriera protettiva.
Ricaricò la sua Contax e scattò, una, due fotografie, mimando quel gesto che lo rese famoso, tra i suoi colleghi, in Spagna: fotocamera sopra la testa, mani tremanti ed imprecazioni di incoraggiamento.
Qualche fotografia, in quel putiferio, ne venne fuori.
Ora, immaginati un fotografo, un uomo qualunque, fatto di carne ed ossa, che si ritrova a vagare, sperduto, in quello che sembra essere a tutti gli effetti un nuovo girone dell'Inferno dantesco.
La definizione di paura acquista un volto ed è quello scheletrico della morte: corpi esangui, granate, colpi di mortaio, e tutto quello che potrebbe decretare la fine della tua esistenza, sono lì, a pochi passi dalla tua figura.
L'unico riparo è un veicolo di metallo; l'unico modo per superare tutto è scaricare, il prima possibile, i rullini.
Robert Capa ha scelto, coscientemente, di prendere parte a quell'evento, di essere testimone della storia. Avrebbe potuto rimanere sul battello, fotografando da lontano o, come il suo collega lì presente, scattare due fotografie, per tornarsene, subito dopo, con la coda tra le gambe in Inghilterra.
Invece ha stretto i denti, fiutando l'importanza di un qualcosa che sarebbe stata, nel bene o nel male, raccontata ai figli, e ai figli dei figli, per intere generazioni.
Robert Capa odiò quei momenti: perse amici, compagni, e quell'ideale della Francia che prima di tutti l'aveva accolto, senza traumi, a lui immigrato in terra straniera. Ma ricorda con affetto una cosa, che non tarderà mai a citare nei suoi incontri futuri: il sodalizio e la voglia, da parte di tutti, di ridonare la libertà agli europei.
Le "magnifiche undici" sono quindi le immagini più significative dell'intera campagna di Robert Capa, ma anche l'attestazione più incisiva di come combattere per una giusta causa porti sacrifici che non tutti sarebbero pronti a fare.
Eh si, le fotografie non saranno perfette: sfocatura, angolature e luce non rendono onore ai suoi protagonisti (il resto fu "bruciato" in camera oscura dall'assistente di laboratorio per la troppa emozione), ma l'essenza, la tensione e l'adrenalina palpitante in questi pochi fotogrammi giunti a noi fanno da soli testo: sono la storia, in forma fotografica.
Ecco, raccontata così, con questo super dietro le quinte, le immagini di Capa, condivise in ogni dove, ma scevre del loro significato, acquistano un ulteriore importanza: rendono giustizia ad un popolo, ad un ideale e ad un ruolo: quello del fotogiornalista, eroe come i soldati, protagonista indiscusso della storia.
Perché fare il fotografo per Capa è più che scattare una fotografia, vuol dire essere il portavoce, nel mondo, di qualcosa o di qualcuno. Oggi, in questo contesto di istupidimento delle masse, fermarci a riflettere su una fotografia, sul perché e sul come di certe cose, può essere l'unico rimedio contro le ingiustizie.
Robert Capa si è fermato e ha preso posizione: anti-nazista per scelta, fautore della libertà di espressione per nascita. Senza di lui il D-Day non sarebbe stato raccontato nello stesso modo.
E tu, se fossi stato in Robert Capa, avresti avuto il coraggio di varcare quel portellone?
Fonti utilizzate:
- D-Day and the Omaha Beach Landings (magnumphotos.com)
- Magnificent Eleven: Robert Capa (atlasgallery.com)
- Memoria fotografica: lo sbarco in Normandia (raiplaysound.it)