Nell'era della fotografia di strada da Social Networks, riuscire a destreggiarsi abilmente tra quello che l'algoritmo vuole e quello che l'anima richiede è tra le sfide più difficili per ogni fotografo. Come voci provenienti da porti lontani, questi due richiami si dividono la nostra attenzione, spingendoci a perderci, nel loro azzuffarsi, in un mare vischioso di repliche o di racconti inaccessibili: un oceano, in continuo movimento, in cui la fotografia sta smarrendo parte del suo significato.

Eppure, in questo scontrarsi di entità normalmente avverse tra loro, capita a volte di imbattersi in visioni che riescono, pur navigando nelle stesse acque, a bucare i nostri schermi; narrazioni, direi io, che con coraggio, vivacità e determinazione trasmettono immediatamente quello che il fotografo, o la fotografa, hanno dentro.

Tra queste c'è quella di Sonia Simbolo, fotografa romana che nello strumento fotografico ha trovato una forma di rinascita e un posto in cui sentirsi a casa.

Incontro Sonia per la prima volta all'ultima edizione dell'Italian Street Photo Festival. Mi colpisce fin da subito la sua sincerità, la stessa che ho sempre trovato nelle sue immagini. Con un grande sorriso, mi racconta che la fotografia le ha cambiato la vita, riportandola dolcemente dentro un territorio a lei più personale.

Durante la nostra chiacchierata, che poi ha dato vita all'intervista che leggerai tra poco di seguito, una frase, più di tutte, mi ha fatto capire come questa forma d'arte possa ancora avere un senso; come la fotografia, insomma, possa fare del bene.

«Vedi», mi dice, «non si può scindere la fotografia dalla propria esistenza. O almeno non posso farlo io. Non la posso staccare da ciò che sento, da quella parte istintiva, viscerale che ho dentro: è proprio un tutt'uno; nel bene e nel male ogni fotografia parla di noi e di tutto quello che noi siamo stati e saremo in futuro».

Parole in cui mi ritrovo e che nell'intervista, come ben vedrai, risuoneranno ad ogni minimo passaggio. Perché la fotografia, dopotutto, è una questione di cuore.

Intervista
La tua fotografia trasmette fin da subito una cocente necessità di trovare il giusto equilibrio tra quello che provi e quello che vedi. Immergendomi nei tuoi immaginari non posso che pensare al come quest'armonia tra le parti sia frutto di un profondo amore verso l'arte fotografica, verso il mondo. È sempre stato così il tuo rapporto con la fotografia? Vero? Totale?

Non proprio. Prima di alcuni eventi che hanno scosso profondamente la mia vita, la fotografia era solo uno strumento come tanti, un oggetto qualsiasi che utilizzavo per documentare la quotidianità e nulla più. Inizio a scoprire le sue qualità solo nel lontano 2013, un anno di grandi cambiamenti lavorativi e personali. Spinta da un bisogno interno di trasformare alcune mie sensazioni in manifestazioni di gioia, energia e spensieratezza, ho acquistato, sotto consiglio di un'amica, una Reflex entry level, scoprendone presto una perfetta compagna di avventure. Da lì, ti giuro, non ho più smesso di fotografare. È come se avessi trovato, nel momento peggiore della mia vita, uno scopo da seguire e proteggere. Forte di questa convinzione, nel 2022 mi sono fatta coraggio, trasformando la fotografia nel mio unico lavoro.

Immagine di © Sonia Simbolo
La fotografia era marginale anche nella tua infanzia?

Forse si. Ho vaghi ricordi della mia infanzia. Se devo andare proprio indietro nel tempo, ho lucida in mente la figura di mio padre che documenta con la cinepresa le peripezie di famiglia; fotocamere se ne vedevano poche. Ora che ci penso, forse è stata la cinepresa il mio primo contatto con una diversa sensibilità nell'osservare il mondo, le persone, le situazioni. All'epoca ero troppo piccola per comprendere il significato di questa cosa. A volte avevo il desiderio di "afferrare" delle cose ma non ci riuscivo. L'arrivo della fotografia e della scrittura ha reso tutto più facile.

In questo tuo percorso verso la fotografia, quale momento pensi ti abbia spinto verso una maggior consapevolezza dello strumento fotografico?

La partecipazione ad un concorso di un'associazione nel 2015 [il tema era la "leggerezza"]. Parteciparvi mi ha condotto verso la consapevolezza che la fotografia potesse raccontare più di quello che si vede. Diciamo che lì, in quell'occasione, credo di aver provato per la prima volta quello che ormai ho bisogno di provare sempre, cioè il creare dal niente, avendo a disposizione cose quotidiane, semplici e che magari non danno nell'occhio, ma da cui tu puoi riuscire a tirare fuori quella che è la tua visione del mondo. Quello è stato il primo momento in cui non mi sono impegnata per fare una foto di cartolina, o di paesaggio, o di ritratto, ma una in cui c'era davvero qualcosa di mio: una persona cara, mia madre, e un pensiero.

Immagine di © Sonia Simbolo (citata qui sopra)
Alla fotografia di strada, invece, come sei arrivata?

Quasi di istinto. Dopo aver deciso di fare della fotografia una parte fondamentale della mia esistenza, ho percepito la necessità di migliorare costantemente il mio bagaglio culturale e tecnico. Parte di questo lavoro di ricerca, nel mio caso, è stato legato alla visione di immagini altrui. Al tempo seguivo diversi autori ed autrici e una di queste, Susana Barbera, parlava positivamente della Street Photography. Non mi ero mai avventurata in questo genere fotografico ed ero quindi curiosa di capire cos'avesse di tanto speciale. Perciò un giorno mi sono messa alla ricerca di qualche corso su Roma; navigando online ho scoperto il corso base di Stefano Mirabella e da lì mi si è aperto un universo. Sono bastate le prime lezioni con lui per rapirmi del tutto. Mi sono subito innamorata della fotografia di strada.

Cos'hai trovato di speciale nella Street Photography?

La libertà di potermi esprimere a mio piacimento. Vedi, facendo la fotografa di professione capita spesso di dover affrontare dei servizi seguendo delle regole precise. Questa cosa è sacrosanta, vista la presenza di un cliente dall'altra parte. Con la Street è diverso. Sono io a decidere come muovermi e cosa fotografare; come trasformare la realtà rendendola un posto migliore. Non ti nego che mi entusiasma molto l'idea di esprimere un qualcosa partendo dal quotidiano. Si tira fuori dal cappello sempre una cosa diversa: uno stato d'animo, un colore, uno strano oggetto. È una sensazione indescrivibile quella che mi attira alla strada! Per me la Street Photography è un pò come un laboratorio visivo. Non ha paragoni. Un posto bello in cui stare e vivere. Quando scatto in città so di poter essere me stessa.

Immagine di © Sonia Simbolo
Nelle tue immagini ho percepito il forte desiderio di evasione, di trovare in strada delle circostanze che ti permettano di giocare con l'immaginazione e lasciare la razionalità a casa. È una descrizione in cui ti ritrovi? O c'è altro?

Si! Fare fotografia è per me come guardare fuori e riconoscersi in situazioni che ti fanno pensare «Oh cavolo, io qui mi identifico. Ci sono io. Quello che provo». La vedo quindi come un'esigenza egoistica, un qualcosa che faccio soprattutto per me stessa. È un continuo sperimentare di forme, colori e situazioni. Trasformo la realtà attraverso il caos per trasmettere ogni emozione e pensiero provati in quel singolo istante. Mi sento un pò come Alice nel paese delle meraviglie [ride]. Mi incammino in luoghi sconosciuti e luminosi per poi fermarmi - anche per ore! - attorno a quelle situazioni che trovo interessanti. Può essere una vetrina, uno specchio, un bel sorriso; poco importa. Essere ingenuamente stimolati da tutto quello che ci circonda è alla base della fotografia di strada. Per questo non c'è mai premeditazione in tutto quello che faccio. Seguo semplicemente l'istinto. La luce.

Non ti poni quindi regole in strada?

No, mai. L'unica cosa che mi preoccupa è che le mie fotografie siano sincere. È nella sincerità che risiede la forza di tutto. Se una fotografia è sincera riesce ad arrivare al pubblico, a parlarti meglio di chi sta dietro l'obiettivo e di quello che accade in scena. Se manca questo ingrediente nelle nostre fotografie, non c'è niente che le renda diverse da tutte le altre.

Come capisci che una fotografia è sincera?

Lo sento a pelle [ride]. Mi piacerebbe trovare, diciamo, un elenco preciso, dettagliato, da seguire io stessa e da consigliare agli altri, però non ce l'ho. Mi affido totalmente alle sensazioni. Quando scatto una buona fotografia lo capisco subito. E spesso [ride], sono quelle che magari non colgono immediatamente il parere positivo del pubblico. Ma poco importa, quello che conta è che dentro ci sia io. Quando riesco a riconoscermi in una fotografia so di aver fatto un buon lavoro.

La fotografia deve essere erotica; deve raccontare qualcosa, qualcuno, ma non svelare tutto.
Immagine di © Sonia Simbolo
Molte delle tue immagini ci mostrano mondi misteriosi e sconosciuti. Attraverso il colore, lo sfocato e le vetrine ci trascini nelle viscere di una poetica visiva che coglie ad ampi margini dai lavori dei grandi della fotografia contemporanea. Che ruolo giocano, nel tuo caso, questi ingredienti visivi?

Sono ingredienti fondamentali. Il colore è proprio qualcosa di cui non riesco a fare a meno: contribuisce, nella mia idea, a veicolare delle suggestioni nell'osservatore e a vivacizzare lo spazio rendendolo più godibile alla vista. Stessa cosa vale per i riflessi e lo sfocato. Insieme, costruiscono un impianto scenico e narrativo che mi permette di trasmetterti un'atmosfera senza però svelarti tutto. Adoro questa componente dell'ignoto e del mistero. Mi intriga tantissimo. Rende la fotografia, a parer mio, erotica: ti mostra un qualcosa e al contempo ti invita ad andare oltre.

Un equilibro quindi possibile quello tra estetica e narrazione

Secondo me si! Cerco sempre di mantenere il giusto equilibrio tra la parte estetica e quella narrativa. Si possono raggiungere buoni risultati anche senza scendere per per forza nel campo del documento sociale. Si può raccontare qualcosa pure solo con una suggestione, un mistero, un colore. L'importante è avere il coraggio di non nascondersi dietro ad estetismi che magari non ci appartengono del tutto, e che pensiamo possano farci ottenere chissà quale seguito. Bisogna seguire la propria voce ed istinto. Se quelli sono chiari in mente, il giusto equilibrio verrà da sé.

Immagine di © Sonia Simbolo
A proposito di voce. Negli ultimi mesi ti sei fatta largo in diversi concorsi di fotografia internazionali. Alcuni li hai pure vinti. Partecipare a questi eventi, in qualche modo, ha cambiato il tuo rapporto con la fotografia? O è lo stesso?

Forse l'ha migliorato. Il partecipare ai concorsi è stata una delle tanti reazioni a una situazione, diciamo, personale, un po' spinosa. Avevo bisogno di affrontare nuove sfide e di mettermi in discussione. Così mi sono buttata a capofitto nel circuito dei principali festival, scoprendone persone e momenti che oggi mi porto nel cuore. Queste esperienze mi hanno cambiata, rendendo la fotografia meno solitaria e spingendomi a superare i miei limiti, senza sminuire quella che sono.

Molti concorsi ti spingono ad adattare le proprie fotografie al volere del pubblico e della giuria. Non è mai facile rimanere se stessi fino alla fine

Si! È molto complicato rimanere integri in questi casi. Non farsi scalfire, o intaccare, da eventuali delusioni che possono derivare dal non arrivare fino in fondo o essere criticati aspramente dal pubblico. Ma fa parte del gioco. Bisogna accettare l'imperfezione, le cose storte, perché queste ti rendono unica, umana. Non c'è niente di male nello scattare immagini che non possono piacere a tutti o che esprimano sensazioni negative. Fa parte della vita. Perché tirarsi indietro?

In ultimo, cosa non deve mai mancare in una fotografia?

In una sola parola? L'anima.

Chi è Sonia Simbolo?

Sonia Simbolo è una fotografa romana. Nelle sue immagini, i riflessi, il colore e lo sfocato sono usati come strumenti per trasformare la realtà, e renderla migliore. Tra le sue ultime attività nel settore spicca la partecipazione alla mostra del Women Street Photographers 2024. Qui il suo Sito Web e Profilo Instagram.

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