"È nelle sue ombre, lapsus e imperfezioni che la fotografia si svela, e meglio si lascia interpretare"

Tra i più grandi incubi del fotografo moderno c'è quello di sentirsi dire che una propria fotografia, tanto curata, amata, protetta, sia venuta fuori male. Questo accostamento di parole, "venuta-fuori-male", a cui molti di noi rifuggono il più possibile, non fa altro che generare odierni e accesi dibattiti, che spesso, negli ambienti "democratici" dei Social Networks, si chiudono con una chiamata alle armi, successivamente accompagnata da quella fatidica e quanto mai retorica frase: «se non la capisci, caro mio, forse è colpa tua! Questa, per me, è arte».

Una forma di autodifesa, per tanti, per spiegare scelte, spesso, inspiegabili, ma anche lo strascico di una ribellione iconografica che già nell'epoca delle avanguardie artistiche aveva preso largo piede, cambiando ogni cosa. Basta infatti poco per riordinare le idee e capire che dentro quest'apparente piccata sommossa esiste una qualche verità di fondo, una consapevolezza della trasformazione del nostro modo di rapportarci alle immagini di ogni epoca che si ricollega all'arte contemporanea, a quel nominatissimo Duchamp ma anche ai suoi predecessori.

E che ci dice, semplicemente, che gran parte delle fotografie prodotte, per quanto innocue e oggettive, distanti o vernacolari, giuste o sbagliate, vengono sempre percepite in maniera soggettiva, e per questo, quello che per uno è arte, per altri non lo è. Un'affermazione tanto pericolosa quanto, se argomentata, allettante.

Una ricerca iconografica e sociologica che Clément Chéroux, in "L'errore fotografico", ha sapientemente affrontato, portandoci alla luce il contributo fondamentale che l'errore, nelle sue molteplici forme, ha infuso nello sviluppo dello strumento fotografico; non un oggetto perfetto, come vorrebbero imporci alcune argomentazioni ancora attuali, ma un canale fatto di imperfezioni e errori.

La storiografia dell'errore fotografico

Nel 1991 viene organizzato in Francia un concorso fotografico a premi, intitolato Fautographique. L'evento, promosso ampiamente dalla stampa e da alcuni sponsor prestigiosi dell'epoca, voleva premiare i migliori scatti errati dei fotografi amatori, in un tentativo non troppo velato di svernare l'offerta artistica di quegli anni - spesso stantia o troppo tesa verso i professionisti - ma anche di donare un contenitore a quelle fotografie che altrimenti non lo avrebbero mai avuto.

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