Una scena ricorrente nei film americani vede spesso il manigoldo di turno muoversi tra i tetti fumosi di una rumorosa città. Normalmente, la scena, è la diretta conseguenza di un inseguimento durato per ore, in cui un poliziotto in borghese, non tanto bravo a prendere la mira, e rigorosamente fiaccato già dal primo ostacolo scavalcato, tampina il rapinatore, per poi perderlo poco dopo.
Non esiste un film americano di genere d'azione, ambientato dal dopoguerra in poi, a non avere una scena simile in sceneggiatura. È ormai un vezzo, un cliché cinematografico diventato talmente cruciale nella narrazione da essere richiesto a gran voce dal pubblico. Se manca un elemento simile in sceneggiatura, vuol dire che non è un vero film. Almeno non uno americano, di quelli che vanno guardati.
Quella delle Rooftops, dei terrazzi o tetti visitabili, per intenderci, è una storia che nel cinema trova solo una delle sue possibili espressioni. In America non è infatti strano veder sfruttare questi spazi come luoghi di incontro ed interazione sociale. Ci fanno feste. Si prende il sole. Si assiste ad eventi decisivi per il genere umano. In questi Rooftops, per assurdo, sembra coesistere un mondo parallelo a quello reale, un universo in cui tutto accade e in cui tutti, anche i meno abbienti, possono sognare un futuro migliore. Un futuro che sa di sogno americano.
E proprio nel dopoguerra, guarda caso, questi luoghi hanno assunto un ruolo determinante nella consolidazione di una certa cultura: quella italiana, della Little Italy di New York che ad inizio XX Secolo si è radicata velocemente nel territorio, diventando, nel bene e nel male, parte integrante delle generazioni che saranno.
Susan Meiselas, di quelle terrazze gremite a festa, ne ha conservato il ricordo, realizzando con Angel Marinaccio e Virginia Dell’Orio, e 52 famiglie della Little Italy dell'epoca prestatesi al progetto, un libro di fotografie d'archivio edito Damiani (2020): Tar Beach: Life on the Rooftops of Little Italy.
Un terrazzo, mille storie
Fa strano vedere Susan Meiselas gettarsi in un progetto del genere. Lei l'ho sempre vista come una donna invincibile, che con coraggio e professionalità, rischia tutto pur di portare la storia a casa. É azione, allo stato puro. Pensarla invece seduta, quieta, a riorganizzare un archivio non suo, mentre si sforza di scovare, in quel mucchio di vecchie stampe stropicciate, l'episodio più giusto alla narrazione, anziché fotografarlo, mi mette addosso una strana inquietudine.
Eppure Susan Meiselas sembrava essere destinata a raccontare questa storia. Il suo rapporto con la Little Italy di New York, d'altronde, è speciale. In quelle strade rumorose e piene di vita è cresciuta artisticamente, realizzando uno dei suoi lavori fotografici più famosi, Prince Street Girls, ma anche umanamente, accogliendo nella sua cerchia di amicizie personaggi di ogni tipo, provenienza e nazionalità.
Quello di Susan per la Little Italy è un vero e proprio amore, talmente forte da radicare in lei un legame lungamente resistente che dal 1974 sopravvive ancora. Susan, a dispetto della fama, vive tutt'oggi nello stesso quartiere di Manhattan, a pochi passi dalla Little Italy e da quei volti italiani ormai non più così stranieri.
Pur amando quel quartiere, non era minimamente a conoscenza di quello che accadeva nei suoi tetti. Il popolo delle Rooftops è stato così per Susan Meiselas una scoperta inaspettata, arrivata per caso mentre lavorava ad una commissione per la Basilica di St. Patrick’s, chiesa situata in quella stessa arteria stradale.
Le mie fotografie di questa comunità sono state spesso scattate per strada o dalle mie finestre. Non avrei mai immaginato cosa stesse succedendo sui tetti intorno a me - Susan Meiselas
Scartabellando tra gli album di famiglia degli ex residenti della zona (si doveva organizzare una mostra per le nuove generazioni), Susan ha intravisto il reiterarsi di un rituale sociale: immagini scattate sopra i tetti in cui tutti, in qualche modo, sorridevano di gioia, spensierati come non mai. Era curioso. Una cosa mai vista prima ad ora. Un qualcosa fotograficamente e storicamente da non farsi scappare.
Parte da lì una lunga ricerca, fatta di interviste e archivi fantastici, poi approdata, nel 2020, nel libro Tar Beach: Life on the Rooftops of Little Italy, edito Damiani. Una raccolta vernacolare bellissima, che racconta intere generazioni (dagli anni 40 ai 70) e che unisce saldamente la famiglia al ricordo collettivo.
Ho trovato questo progetto caloroso, sensazionalmente accogliente.
C'è la Little Italy, ma non quella che ci viene raccontata sui Social Media.
In Tar Beach assistiamo infatti a scene di vita quotidiana, pacifiche, da album di famiglia; situazioni che ben poco hanno a che fare con quella narrazione odierna che vede questa comunità solo come un prodotto da vendere, e non come persone.
Trovandomi così inizialmente di fronte a queste fotografie d'epoca sono rimasto un pò come Susan Meiselas: stranito, meravigliato dalla bellezza, inadeguatamente pronto a prendere coscienza dell'esistenza artistica e sociale di una cosa del genere.
Cosa avranno mai questi terrazzi che le strade non potranno offrire?
La prima sensazione che ho provato è di spaesamento. Spiagge di grigio catrame si stendono a perdita d'occhio, accogliendo il muoversi incessante di numerose anime, molte giovani, alcune vecchie, e il manifestarsi di celebrazioni di ogni tipo: compleanni, matrimoni, diplomi e battesimi: in questa dimensione straordinaria tutto può accadere e tutti sono i benvenuti. Basta indossare il tuo vestito migliore.
I fotogrammi raccolti da Susan Meiselas sono imperfetti, mal ritagliati e spesso sgualciti dal passaggio da una mano all'altra. Sono i ricordi affettuosi di momenti famigliari in cui la vita, per pochi istanti, si accendeva in un sorriso. Un sorriso contagioso, bello, utile a dimenticare la dura esistenza di un emigrato in America.
In questi frammenti a noi così cari (dopo averne visti una decina sentiamo di essere parte di loro) c'è la magia della fotografia, del ritrovarsi dopo tanto tempo.
Vediamo i vestiti dell'epoca, i sogni dell'epoca, i legami indissolubili tra persone.
Le scene di Tar Beach sono come una boccata di aria fresca in un mondo sempre più artificiale ed esausto. Non sono dirompenti, né straordinarie. Eppure in quei pranzi a cielo aperto, incastrati tra grattacieli altissimi, e bimbi che corrono da un versante all'altro, possiamo scovare la vera essenza della gioia e della speranza. Uno sguardo collettivo rivolto verso il futuro e verso le generazioni che saranno.
Una sorta di libertà, se vogliamo, che pochi capiscono, e che solo un italo americano, come Martin Scorsese, ha saputo esprimere bene nella prefazione del volume - e in molte delle sue pellicole cinematografiche, tra cui Toro Scatenato:
Il tetto era la nostra via di fuga ed era il nostro santuario. La folla infinita, la sporcizia, il rumore costante, il caos, la claustrofobia, il movimento ininterrotto di qualsiasi cosa…salivi quella rampa di scale, aprivi la porta e ti trovavi al di sopra di tutto. Potevi respirare. Potevi sognare. Potevi essere - Martin Scorsese
Tra le cose che mi hanno colpito di più, c'è la totale serenità di chi sta davanti all'obiettivo. Tutti i fotografi che hanno realizzato queste fotografie, ci dice Virginia Dell’Orio, sono anonimi, sconosciuti: le uniche informazioni che abbiamo di loro risalgono alla calligrafia che spesso accompagna le stampe.
Quest'anonimia, oggi, infastidirebbe parecchi "artisti dell'immagine".
Scattare una fotografia senza avere la certezza di essere riconosciti da un pubblico, seppur solo digitale, non è più concepibile. In passato era invece naturale che le immagini di famiglia o amici venissero realizzate per puro amore nei confronti delle persone ritratte. L'unica richiesta, o desiderio semmai, era veder sorridere le persone. Il resto, nella mente di tanti appassionati di fotografia, non importava.
Sta forse tutta qui l'anima e la potenza di Tar Beach.
Quelle dei Rooftops, alla fin fine, non sono altro che espressioni d'amore nei confronti delle persone che abbiamo più care. Manifestazioni d'affetto che in quei luoghi solari, più a contatto con il cielo che con la terra, raggiungono un grado di autenticità e bellezza che credo non abbia paragoni altrove. Lassù ci si sentiva davvero liberi, sereni. Robe che, ammetto, mi fanno provare una grande invidia.
Invidia per una vita d'altri tempi, dove poco, a volte, era abbastanza.
Ma Susan Meiselas, in tutto ciò, dov'è?
Viene facile chiederselo a fronte di un'immaginario costruito attorno a delle fotografie d'archivio. Non sue, tra l'altro. Credo che la risposta migliore sia visibile nella scelta del materiale utilizzato nel volume. Testimonianze che ci abbracciano, che ci fanno sentire a casa e che, artisticamente, rilasciano in noi indescrivibili sensazioni. Spiragli di esistenza che sola una fotografa come lei poteva intravedere.
Susan Meiselas ha sempre avuto occhio per queste cose e vedendosele manifestare davanti ai propri occhi, senza andarsele a cercare lei stessa sul campo di battaglia, l'ha fatta ricredere sulla sua Little Italy. E a ragion veduta: queste fotografie, nella loro semplicità, nel loro rendersi anonime ed uniformi, ci raccontano l'importanza del riunirsi in famiglia e l'appartenenza ad una cultura.
Cose che abbiamo dimenticato e che dovremmo ritornare a coltivare insieme.
Chi è Susan Meiselas?
Susan Meiselas è una fotografa americana. Come fotoreporter, ha realizzato numerosi servizi in giro per il mondo, raccontando, tra le tante, l'emancipazione femminile, le rivoluzioni sociali in America Latina e l'altopiano in medio oriente del Kurdistan. Dal 1976, fa parte dell'agenzia Magnum Photos. Puoi scoprire il resto dei suoi racconti sul suo Sito Web o Profilo Instagram.
Fonti utilizzate:
- Tar Beach, Susan Meiselas (magnumphotos.com)
- Susan Meiselas: Tar Beach. Life on the Rooftops (exibart.com)
- Tar Beach. Life on the Rooftops by Susan Meiselas (damianibooks)
- Tar Beach, The Project (susanmeiselas.com)