➡️ Dati tecnici
Editore: Thames & Hudson
Prefazione: Czeslaw Milosz
Data pubblicazione: 2014
Numero immagini: 75
➡️ Analisi
"Exiles" di Josef Koudelka è un viaggio interminabile, angoscioso e stupefacente: un libro diventato ben presto una monografia oggi entrata alla storia per la bellezza struggente delle sue immagini e per i suoi retroscena da romanzo ottocentesco.
Josef inizia a lavorarci, senza neanche rendersene conto, nel 1968, con quella foto dell'orologio che preannuncia la fine imminente di un'insperata libertà per se stesso e per i suoi connazionali, ma anche l'inizio di un pellegrinaggio senza una meta precisa.
Il fotografo ceco sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro decidendo di essere testimone di quell'evento rivoluzionario: voleva essere gli occhi della Cecoslovacchia e raccontare la forza e il coraggio di un popolo che non si sarebbe arreso di fronte alle ingiustizie e alle usurpazioni straniere.
Un bel pretesto, un obiettivo lodevole, che però sappiamo tutti a cosa portò: l'esilio, per anni e anni lontano dalla sua terra, dalla sua famiglia.
Nelle migliori favole è sempre un buon proposito a muovere gli eroi, a fargli varcare la soglia ed abbandonare la propria terra alla ricerca della principessa o dell'oggetto magico che salverà il suo regno.
Nella favola distopica di Josef non c'è nessuna principessa e nessuna spada magica: c'è un obbligo, una forma di sopravvivenza, per scampare a quella censura, e a quel governo autoritario, che molto probabilmente avrebbe punito con la prigione la sua irruenza e la sua audacia:
Se racconti la verità, stai di certo, ti farai dei nemici, e quelli di Josef sarebbero stati pronti a tutto pur di fermarlo.
Josef allora parte, come un pellegrino impenitente, ed invece di scegliere di fermarsi in un luogo, e di mettere lì radici, decide di viaggiare, di raccontare il suo disagio e di farlo attraverso se stesso e tutti coloro che, per motivi politici o militari, scappano ogni giorno dalla propria terra, alla ricerca di una serenità che sembra essere più un miraggio, che una speranza.
Nelle sue immagini veniamo colti da una profonda sensazione di alienazione, di inadeguatezza, come se ci trovassimo in luoghi e in contesti dove siamo di troppo, dove la nostra esistenza passa inosservata e i nostri tormenti inascoltati.
Questa esasperata percezione della transitorietà viene fuori in tutti i soggetti inquadrati: sono delle comparse, delle anime in pena, che riempiono gli spazi solo per pochi istanti.
Nei loro visi è presente la rassegnazione, il dolore e la consapevolezza che quella serenità, quella stabilità e la familiarità delle loro tradizioni, e dei viottoli a ridosso delle loro case, è venuta meno e non tornerà mai più.
Josef cerca di trasmetterci una precisa sensazione e lo fa anche inquadrando oggetti e tracce del passaggio dell'essere umano attraverso composizioni mai banali e ricche di pathos.
Nel suo mirino strascichi di un'esistenza effimera che chiede a gran voce un motivo per continuare a vivere; manifestazioni di una necessità di ritornare a respirare e a toccare quella terra in cui si è nati e per cui saremmo pronti a perdere la vita.
È come se ci trovassimo in un tempo sospeso, un limbo, in cui questi spiriti vagano, con una disillusione e rabbia in corpo fatta ormai armatura.
L'elemento che spicca quasi sempre, come protagonista od aiutante di queste scene, è la luce, che spesso lambisce quei corpi e quegli ambienti accogliendoli in un caldo abbraccio che sa di casa, di famiglia.
Josef viaggia, in Europa e nel mondo, ma non per cercare una luogo che sia pronto ad accoglierlo, ma per rimanere vicino a chi come lui sta vivendo questa soffocante sensazione di spaesamento ed insoddisfazione: un demone che ti porta a vagare nelle strade di città caotiche e sconosciute alla ricerca di un modo per dimenticare, più che per ricominciare da zero.
La monografia ci invita a riflettere, a tenere bene a mente la fortuna che abbiamo a rimanere ancorati nella nostra terra, nelle gioie e nelle braccia dei nostri cari, senza che ci sia qualcosa o qualcuno che ci faccia rinunciare alle nostre tradizioni e a quel pane caldo appena sfornato all'angolo della via di casa nostra.
Un messaggio che ci colpisce immediatamente e che ci dipinge Josef Koudelka come un eroe contemporaneo: un personaggio che si è rimboccato le maniche e che ha continuato a fotografare, anche a dispetto di chi lo avrebbe voluto fermare, mostrandogli, forzatamente, la via più veloce verso l'indifferenza più totale.
La fotografia, anche in questo caso, è stata una salvezza e una fonte di ribellione.