Ci vuole una grande predisposizione mentale per accogliere volti e personaggi nuovi nella propria crescita fotografica. Tony Ray Jones rientra perfettamente in quella cerchia di occasioni accidentali: momenti inaspettati, che ci sopraggiungono causalmente durante la nostra giornata e ci fanno quasi gridare al miracolo, come se avessimo trovato l’oro del Klondike dopo ore e ore di scavi.
Una ricchezza che non mi aspettavo di poter trovare, soprattutto perché non ero minimamente pronto a riceverla. E così, tra una ricerca e l’altra, ho scoperto un autore meraviglioso che merita un approfondimento tutto dedicato a lui!
Biografia
Tony Ray Jones nasce nel Wells, Somerset, nel 1941. Suo padre, pittore ed incisore, muore quando Tony ha 8 anni. Il fotografo studia alla scuola di grafica di Londra, specializzandosi in tutte le discipline artistiche utili a costruirsi un bagaglio culturale idoneo a farsi strada nel mondo della pubblicità e del commercio.
Agli inizi degli anni ’60 si sposta in America dopo aver vinto una borsa di studio. Grazie a quest’ultima, potrà iscriversi all’università dello Yale e conseguire una laurea in Arte.
Qui, nel paese più cosmopolita del mondo, passerà quattro anni della sua vita all’insegna della crescita personale ed artistica. Già dai primi anni del suo trasferimento, inizierà a lavorare a progetti a lungo termine e a varcare le soglie delle strade americane, con in mano la sua macchina fotografica e la compagnia di un gruppo di amici più folli di lui. Negli stessi anni arriveranno anche le prime commissioni da parte di riviste del settore e di giornali importanti dell’epoca.
Tony passerà il suo tempo giornaliero dividendosi in due: gli studi di derivazione artistica e le uscite fotografiche con la cerchia di fotografi più attivi di quel periodo — tra cui citiamo Joel Meyerowitz e Garry Winogrand. Il suo amore nei confronti della vita, e il suo attaccamento alla natura profonda e incisoria del mezzo fotografico, lo animeranno al tal punto da fargli toccare le strade più e più volte durante il giorno.
Passerà degli anni fantastici in America, anni importanti per lo sviluppo di uno stile ben definito che lo consacreranno come uno dei fotografi contemporanei più influenti degli anni ’60. Muore per leucemia nel 1971.
Il Processo Creativo di Tony Ray Jones
Guardando per la prima volta le immagini di Tony Ray Jones rimaniamo immediatamente stupiti dalla straordinaria varietà di soggetti presenti nella sua inquadratura.
Tutti hanno un ruolo all’interno della scena e tutti sembrano nello stesso momento, legati e slegati, da una narrativa invisibile che si delinea solo attraverso il nostro sguardo indagatore. Bambini, adulti ed animali immersi in una dimensione propria, temporalmente scandita dai rintocchi dell’avanzamento della pellicola del fotografo.
In un secondo momento osserviamo i volti: persone sconosciute che esprimono una sensazione attraverso la mimica facciale; una pantomimica quasi teatrale che amplifica l’ironia e l’irriverenza di scene al limite del reale.
Se già questo non bastasse, ecco sopraggiungere il terzo elemento più discordante, per non dire quello più bizzarro: soggetti alieni che eseguono indisturbati delle azioni al di fuori dell’ordinario. Una perfetta ricetta di follia, che sottolinea l’approccio creativo di Tony Ray Jones e che ci strappa più di un sorriso.
In questo sunto esplosivo c’è tutto l’animo irriverente, ironico e sarcastico di Tony. La cosa più assurda è che indipendentemente dal luogo, dal contesto o dal momento, sprizza fuori sempre quel timbro tipico inglese, che impernia di una estetica sottile tutta la scena registrata.
Si percepisce un’atmosfera leggera, limpida, in cui lo spettatore valica la soglia della cornice per prendere parte all’estasi della festa. Ogni piano e ogni frazione dell’immagine ha una sua importanza. Nessun soggetto o oggetto è lasciato al caso. Tutto fa parte di un chissà quale piano mentale che prende vita solo attraverso la chiave fotografica.
Esiste però una seconda faccia del lavoro di Tony. Quando l’ironia viene meno, ecco sopraggiungere un sottile velo di tristezza, che impernia e svigorisce i visi dei suoi soggetti. Le sensazioni si fanno in questo caso contrastanti. La tristezza si trasforma in inquietudine, si indebolisce al tal punto da mutare la scena in un compendio di follia, irrequietezza e bizzarria — visibile il rimando alla Arbus.
Tony sfrutta un punto di vista inusitato. È sempre molto vicino ai suoi soggetti ma non ha interesse nei particolari, anzi, è forse l’unione degli elementi, riscontrati causalmente nel suo vagare nelle città, che creano questa profonda analisi sociologica e antropologica delle comunità urbane.
Immaginatevi solo per un momento l’animo di quest’uomo all’interno del contesto americano, famoso in tutto il mondo per essere sicuramente quello più aperto e movimentato nell’iconografia internazionale. Sono sicuro che i suoi compagni d’armi, Meyerowitz e Winogrand, facessero molta fatica a tenerlo a freno nella sua ossessiva ricerca del surreale cittadino.
In un batter d’occhio sembrava poter avere tutto sotto controllo, come se quei soggetti fossero degli attori pagati per eseguire delle azioni, delle movenze premeditate. In realtà è tutto frutto di un’occhio attento, un occhio che fin da subito ha compreso come si potesse celare in ogni uomo un pizzico di follia, la sola che possa mettere a repentaglio l’equilibrio della stasi umana.
Ogni evento attraverso quel vetrino galileiano della sua Leica assumeva delle forme e delle sembianze che riescono a solleticare il nostro animo, portandoci in uno stato di serenità che ben pochi fotografi riescono a raggiungere.
Cosa ci insegna Tony Ray Jones sulla fotografia?
Che gran fotografo Tony Ray Jones! Pur avendo realizzato un numero di immagini minori, rispetto ad altri importanti fotografi, ha costruito un immaginario così forte, attraente e disordinato da farci accapponare la pelle dalla bravura esplicita del suo occhio.
Eppure lui non ha fatto altro che essere lì, presente in quei momenti gravidi di situazioni eccentriche e sensazionali accompagnato dalla sua fotocamera. Per questo non posso non evidenziarvi due grandi insegnamenti che può darci questo fotografo: ricercare contesti affollati, dove sarà più facile scattare passando inosservati, e il rimanere sempre se stessi, fino alla fine. Quest’ultimo è forse il consiglio più importante, quello che dovrebbe far parte sempre di noi.
La fotografia può essere uno specchio della realtà, ma penso che sia anche possibile attraversare questo specchio, come Alice nel paese delle meraviglie, per risolvere gli enigmi nella nostra testa e trasformarli in una nuova visione del mondo tramite la fotocamera.
— Tony Ray Jones
Oggi siamo davvero troppo condizionati da modi di agire e pensare che non ci appartengono e per questo realizziamo immagini che ci dicono davvero poco. Siamo ossessionati dai likes, dal consenso di persone che non conosciamo e che non hanno minimamente interesse nella nostra crescita artistica.
Dobbiamo scattare per noi stessi e per nessun altro. Solo dopo aver appreso questo importante e faticoso insegnamento, potremo farci strada in un campo più vasto e professionale della disciplina fotografica. E soprattutto, impariamo a vedere le cose sempre con un occhio infantile, come se fosse la prima volta che osserviamo il mondo che ci circonda.