Tra le più allettanti occupazioni dell'uomo moderno c'è quella del commentare, con evidente malizia, il vestiario sfoggiato dai passanti in strada. È una vera e propria sfida quella che si interpone fra amici di vecchia data intenti a ricercare, nell'outfit di un perfetto sconosciuto, il dettaglio che possa farsi carico di una lunga sequela di opinioni non richieste. Un gioco infantile, che si consuma [si spera] nel momento stesso della sua realizzazione (e a cui tutti, ammettiamolo pure, abbiamo segretamente giocato) ma che tuttavia, per chi sa andare a fondo, riesce a svelarci alcune incongruenze di una società molto legata alle apparenze. Apparenze che, di questi tempi, passano anche da quell'inclassificabile universo chiamato "kitsch".

Giulia Pissagroia, fotografa romana, del kitsch in strada ne ha fatto materia di ricerca e indagine. In "De Gustibus?", progetto fotografico iniziato alla Daylight School di Roma, sotto osservazione di Lorenzo Catena, Giulia cattura i sussurri di una pretenziosa moda stradale per evidenziarne le eccentricità e il cattivo gusto.

«Il cattivo gusto non è solamente nell'apparenza, ma anche nei modi di fare, di comportarsi in strada» mi dice, e in "De Gustibus?" ce ne rendiamo subito conto. E allora, da totale anti modaiolo quale sono, ho chiesto a Giulia di raccontarmi il dietro le quinte del suo progetto e cosa questo kitsch, alla fin fine, sia per lei.

Intervista
Cos'è per te il kitsch?

Il kitsch è l'esagerazione, il cattivo gusto; è qualcosa che coglie l'attenzione di chi guarda, colpendolo spesso in modo violento; è qualcosa che coglie di sorpresa.

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia

Una volta esaurite le classiche, banali, scene i cui soggetti erano donne leopardate o sbrilluccicanti accessori impellicciati, mi sono resa conto che più andavo "a caccia" dell'esagerazione, più tutto mi sembrava kitsch. Mi sono quindi chiesta perché non avessi mai posto l'attenzione su alcuni particolari che, a ben vedere, trovo del tutto di cattivo gusto. Il bello della fotografia è proprio questa sua capacità di costringerti a riflettere, a vedere il mondo da un'altra prospettiva.

Rendermi conto della vastità dell'argomento, mi ha spinto ad andare a fondo del fenomeno e a rapportarlo ai tempi passati e presenti. Il kitsch, per certi, è sempre esistito. A cambiare è il concetto che abbiamo di lui. Alcune cose normali per gli antichi romani o per gli uomini primitivi, ad esempio, potrebbero risultare a noi oggi molto kitsch. Ti parlo delle statue di marmo colorate e dei "cadaveri" che venivano portati sulle spalle per ripararsi dal freddo e dalle intemperie. Oggetti un tempo indossati o mostrati per fini utilitaristici o simbolici e che invece oggi sono diventati per molti di noi marchi "alla moda" da sfoggiare fieramente in pubblico.

Quando penso al kitsch, mi vengono in mente le meravigliose fotografie di Bill Cunningham, uno che sul fotografare la moda nelle strade di New York ci ha costruito un'intera carriera. I suoi erano anni in cui i Social Networks non esistevano e chi sceglieva di indossare certi capi era per mantenere uno status sociale. Oggi invece cosa spinge le persone verso il kitsch?

Come dicevo prima, sia la scelta dei capi d'abbigliamento sia i comportamenti per così dire kitsch, derivano da un insieme di fattori che fondano le radici nella società, nell'educazione, nella cultura, e sono quindi determinati dall'abitudine.

Di base l'essere umano ha questa tendenza a voler essere accettato e crede che per poter raggiungere il risultato debba omologarsi al resto del gruppo al quale vuole appartenere. Questo fenomeno è chiarissimo nell'età scolastica, ma anche in età più matura, dove le persone rimangono comunque facilmente influenzabili. Basti pensare a quante volte ci capita di utilizzare una data espressione perché utilizzata da una persona che ci sta simpatica o che reputiamo stimabile.

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia

Per quanto riguarda la moda e l'utilizzo dei media, questo fenomeno è ancora più amplificato. Per questi motivi credo che bisognerebbe fare attenzione al trend (personale) che ognuno persegue. Certo, finché tutto questo si riduce alla scelta di paillettes rispetto a una pelliccia, la cosa mi strappa un sorriso. Se invece noto che si sfocia in atteggiamenti privi di educazione o tatto, questo mi preoccupa, perché ci si abitua a tutto. Ci si abitua alla pelliccia come alla maleducazione. E sai quando te ne accorgi? Quando ti stupisci di fronte a un gesto di gentilezza (che dovrebbe essere comune, normale).

In "De Gustibus?", ci dai un assaggio del kitsch attraverso le strade di Roma. Nel tuo mirino, oltre ai capi di vestiario, oggetti e atteggiamenti che potremmo definire di "cattivo gusto". Quando inizia ufficialmente la tua ricerca?

Come per tutti i fotografi di strada, le cose strambe catturano la mia attenzione. Onestamente non avevo mai pensato di creare una serie sul kitsch, fino a quando non è capitato “per caso” durante il corso di Lorenzo Catena, presso la Daylight School. Per affrontare il tema del progetto attraverso una serie fotografica, Lorenzo ci ha fatto pescare alla cieca dei biglietti, sui quali aveva scritto diversi temi. Quando ho pescato il kitsch mi è preso un colpo! Già all'epoca ero nella “modalità bianco e nero” (che ancora porto avanti) e non volevo metterla da parte solamente perché nell'immaginario collettivo il kitsch è a colori. L'ho presa quindi come una sfida da vincere a tutti i costi. E devo dirti: mi sono molto divertita.

Cosa volevi raccontarci con "De Gustibus?" ? Volevi fare una critica della società contemporanea? Oppure solo stuzzicare il riso dell'osservatore?

In tutta onestà, non ho mai avuto l'intento di criticare né le cose che ho avuto modo di osservare né, di conseguenza, la società. Volevo forse solo capire meglio il fenomeno e dare la possibilità al pubblico di interpretarlo a modo suo. D'altronde "De Gustibus?" è nato per caso e si è evoluto allo stesso modo. Man mano che andavo avanti con la ricerca, mi accorgevo di altri dettagli che componevano il puzzle della società dell'apparire (che poi ho scoperto essere anche la società dell'essere, visto che manifestiamo ciò che siamo, almeno in quel momento specifico) e questo mi ha permesso di svelare uno dei volti del contemporaneo.

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia
Un confine rischiosissimo quello tra kitsch e non kitsch, tra buono e cattivo gusto. Che paletti ti sei imposta per isolare l'argomento e non giudicare troppo aspramente situazioni o soggetti che rientravano nella tua ricerca?

Nessun paletto, non ne metto mai (e credo che questo traspaia dalle mie fotografie, nel bene e nel male). Ho fotografato ciò che catturava la mia attenzione. Quando entri nel vortice del kitsch, ti assicuro, lo vedi ovunque, in ogni luogo e persona.

Quando vedi certe situazioni, è praticamente impossibile non "giudicare" le scene che ti si palesano davanti, chiederti "perché". Ma questo riguarda chiunque. Perché per quanto possiamo tentare di trovare una definizione condivisa del rapporto tra tra abitudine e cattivo gusto, ci sarà sicuramente qualcun altro che la penserà diversamente da noi. Per qualcuno potrei risultare kitsch anche io, per intenderci. Insomma, quando capisci quanto tutto sia oggettivo, ci ridi su. Mi rendo conto che il passaggio successivo riguardo all'analisi dei comportamenti è inevitabilmente di un altro tenore. Ma è così: tutto cambia. Speriamo solo che non cambi in peggio!

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia
Credi siano più kitsch le vecchie o le nuove generazioni?

Bella domanda, non ci avevo riflettuto! Considerando che il fulcro del concetto del kitsch risiede nell'abitudine, credo che reciprocamente le diverse generazioni vedano le altre non in linea con la propria normalità, e quindi kitsch. E questo riguarda sia l'ostentazione estetica che quella prettamente comportamentale.

Quel senso di velocità e di urgenza, di adattamento repentino ai tempi, tipico della moda attuale, viene fuori anche nello stile adottato nelle tue fotografie. Come le hai realizzate sul campo? E quante di queste sono frutto del caso?

Potrei dirti che ho scelto questo stile appositamente per questa serie, ma non direi il vero. Il modo in cui fotografo parte da un'esigenza personale. Non è ragionato a tavolino. Quando fotografo sono molto istintiva e, certo, guardo la luce e spesso è lei stessa a comandare. Ma quello che sento in questo periodo della mia vita è di voler rappresentare le sensazioni, piuttosto che la nitida realtà così com'è (tra l'altro, nemmeno la realtà lo è). Noi vediamo la superficie delle cose, ma non quello che ci sta dietro. È proprio per questo motivo che non amo fotografare i soggetti in posa, perché avrebbero tutto il tempo di celare la loro vera e pura espressione!

Non ti piacciono le pose, eppure nel tuo progetto è presente una fotografia a colori realizzata in studio. Una fotografia rossa, potente, vibrante. Cosa rappresenta per te? E perché hai scelto di inserirla proprio a metà della serie?

L'intento delle mie fotografie è quello di trasmettere una sensazione, piuttosto che descrivere la realtà. Mi sono quindi chiesta quale fosse la sensazione che una persona ha quando vede qualcosa di kitsch, di cattivo gusto. Con la fotografia rossa (che non c'entra niente con le altre, è praticamente un pugno in faccia) credo di aver reso abbastanza bene il concetto. L'immagine è di qualche anno fa, quando mi cimentavo con la fotografia macro astratta. Mi è ritornata alla memoria proprio mentre analizzavo la sensazione che volevo trasmettere all'osservatore. Una sensazione, come ti dicevo, che ti coglie di sorpresa e che riaccende l'attenzione.

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia

Per risponderti riguardo al posizionamento della fotografia, devo anticiparti che, durante il corso, Lorenzo ci ha sottolineato l'importanza di scegliere a monte il mezzo di presentazione del nostro lavoro. Io sono una grafica pubblicitaria, per cui mi è venuto spontaneo pensare a un possibile libro o fanzine. Ho così immaginato di inserire questa fotografia al centro della pubblicazione per destabilizzare lo spettatore e rendere più forte il concetto del kitsch, con un'emozione. In una mostra l'effetto shock sarebbe più difficile da realizzare, ma non infattibile.

L'impatto è evidente. Un fulmine a ciel sereno nelle strade di Roma. Immagino che capire come inserire un'immagine simile in una serie in bianco e nero sia stata una sfida difficile. "De Gustibus?" ti ha messo sicuramente alla prova

Sì, sicuramente mi ha messa alla prova! Ma mi sono anche molto divertita. La difficoltà maggiore è stata quella di trovare scene di vario genere e natura per non fossilizzare la ricerca solo sui glitter, i leopardati e i tatuaggi invadenti. Mantenere un equilibrio è stata una bella sfida. In tutto ciò, ho collezionato una quantità incredibile di pellicce! Difatti quelle non riesco proprio più a fotografarle...

"De Gustibus?" di © Giulia Pissagroia
Come una moderna Sibilla, "De Gustibus?" sembra volerci ammonire su quello che sarà un futuro in cui il contegno diventerà una merce sempre più rara. Credo che sia questo il momento giusto per insistere sul tema e portarlo alle attenzioni di tutti noi. Vado quindi al punto: il progetto continuerà?

Ormai sono talmente entrata nell'atmosfera di "De Gustibus?" che quando esco per fotografare altro, inevitabilmente l'occhio mi cade su alcune scene che potrebbero servirmi per proseguire il progetto. Ti parlo di scene, perché vorrei più che altro approfondire il tema dei comportamenti, piuttosto che quello del vestiario. Quindi si, forse continuerò a portare avanti il lavoro, in contemporanea con altri progetti.

Chi è Giulia Pissagroia?

Giulia Pissagroia è una fotografa romana. Le sue immagini di strada ci parlano del contemporaneo attraverso usi e costumi della società odierna. In molti casi, creano inoltre ponti tra interno e esterno, tra sensazioni private e umori comuni. Dal 2022, Giulia fa parte del gruppo ASA Project, specializzato nella cura di progetti fotografici. Puoi vedere altri suoi lavori sul Sito Web o Instagram.

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