Faccio mea culpa. In passato ho fatto un grave errore. Ho giudicato un libro di fotografia dalla sua copertina, ancor prima di capirlo davvero.

Si tratta di "Lezione di Fotografia”, di Stephen Shore, un volume di circa 150 pagine costruito per mostrarci, e raccontarci, un modo alternativo di rapportarci alla materia fotografica, senza il peso di troppe date o parole complicate.

Ecco, quest'ultima parte, quella dell'essenzialità del volume, non mi era ben chiara.

Mi trovavo al secondo anno di Accademia e l'unica cosa che desideravo era leggere robe che mi potessero far sobbalzare dalla sedia. Venivo da libri come "La camera chiara" di Roland Barthes e "Sulla Fotografia" di Susan Sontag. Due volumi importanti, maestosi, complicati in alcune sezioni e rivelatori in tante altre: leggerli mi faceva sentire meno stupido, più inserito e conscio del settore.

Poi arriva questo. Stephen Shore. Grande fotografo. Titolo roboante, "Lezione di Fotografia". Tutto sembrava riecheggiare le stesse sensazioni dei primi due, quel fastidio del riconoscere di dover ancora percorrere tanti chilometri, prima di poter affermare di capirne qualcosa di fotografia. Invece, davanti a me, questo:

Un libro, con pochissimo testo e tantissime immagini. Nozioni disparate e, apparentemente (e qui sta il mio errore!), prive di qualsiasi collegamento. Fotografie, nel complesso, lontanissime dal gusto contemporaneo.

Insomma, l'ho giudicato male, anzi, direi meglio, l'ho sopravvalutato, aspettandomi di ricevere da lui qualcosa che da un "volume di tecnica" mi aspettavo di avere: importanti riflessioni e rivelazioni sul come fare fotografia.

Per fortuna non c'era nulla di tutto ciò o, almeno, non nella forma che pensavo.

di © Stephen Shore

Stephen Shore, per chi non lo conoscesse, è uno tra i fotografi più influenti del XX Secolo. Storicamente parlando, viene inserito tra coloro che hanno rivoluzionato la fotografia di paesaggio urbano, introducendo componenti visive prima inesplorate - come ad esempio i tralicci della corrente elettrica o le automobili in strada - e uno sguardo diretto verso la contemporaneità.

Stephen, oltre ad un grande fotografo, è stato anche un eccellente insegnante di fotografia. Per anni ha raccontato la materia presso il Bard College di New York, instradando, con le sue lezioni, numerosissimi talenti verso l'arte fotografica.

Molte di queste sedute sono finite qui, sul volume, a guidare anche noi.

Questo libro racchiude molta della filosofia artistica di Shore e riesce a colpirci immediatamente per la scelta, quasi eccentrica, di unire riflessioni variegate sul mondo della fotografia - che toccano i suoi aspetti culturali, materici, artistici e documentativi - accompagnati da immagini decontestualizzate, rispetto ai testi, ma che ben si sposano con le loro primarie, e sottintese, intenzioni.

Sulla parte sinistra, il testo, a volte lungo, in altre corto, raramente assente. Sulla destra l'immagine, di altissima qualità, appartenente a più generi e formati.

Stephen affronta il discorso con estrema chiarezza, dandoci stimoli a vagare con il pensiero attraverso le fotografie, le nostre e quelle degli altri, per ricercare punti di vista diversi e trarre numerosissime conclusioni (una sola, spesso, non basta).

Te ne cito un passo, così da farti capire cosa intendo:

Alcune fotografie sono opache. L'osservatore è obbligato a soffermarsi sulla superficie della fotografia. Altre fotografie sono invece trasparenti. L'osservatore è trasportato attraverso la superficie, all'interno dell'illusione creata dall'immagine - Stephen Shore

Forte, come forti sono le due fotografie scelte, in ambedue casi di Thomas Struth: Paradiso 09 (opaca, enigmatica) e Pantheon, Roma (trasparente e magica). Testi ed immagini che non hanno un rapporto diretto (Stephen cita raramente le fotografie utilizzate) ma l’accostamento finale funziona, il concetto arriva fortissimo. È proprio quello che ti raccontavo in apertura di questo articolo:

Non è un volume come gli altri, è un continuo dialogo con il lettore. Ti porta a riflettere sulla natura delle immagini e instaura, con chi lo legge, un legame quasi dialogico, di dare e ricevere. Un qualcosa che non tutti i libri hanno, concentrati per quanto sono sui tecnicismi e sul viaggiare solo sulla superficie delle fotografie.

Leggendolo con attenzione ho scoperto qualcosa in più su tanti autori, su me stesso e sulla fotografia. Ad esempio, c'è un passo che mi ha fatto parecchio pensare. Stephen parla del valore temporale della fotografia e di come spesso basti un innocuo "cheese" a mettere in modo un meccanismo immortale (pag. 70).

Dice, «un'immagine fotografica è statica, mentre la realtà scorre nel tempo. Quando questo flusso viene interrotto da una fotografia, si scopre un nuovo significato, quello fotografico. La realtà è una persona che dice "cheese"».

Un ragionamento che non fa una piega e che mi ha divertito parecchio, soprattutto perché ad accompagnarlo è la famosa fotografia della mucca e del cowboy di Garry Winogrand: un duo perfetto, per spiegare come la fotografia scovi l'invisibile nel visibile, rendendo sacro un momento colto nel flusso temporale.

E poi tanto altro. Aneddoti sulle inquadrature, sullo spazio visivo, sulla fotografia vernacolare. Appunti sulla stampa, sulla messa a fuoco e sul come guardare una fotografia. È un libro che faccio fatica a classificare. Non ha eguali nel mondo.

Interno del libro, pagina 45

Ritorno allora a quei primi anni di Accademia, quando ero una persona diversa.

Forse, a pensarci bene, è stata proprio la natura singolare del volume a farmelo odiare in prima battuta: non saper riconoscere la sua particolarità nell'offrire al lettore stimoli visivi chiari, non didascalici, aperti a varie riflessioni. Non regole prestabilite, ma consigli e direzioni dati da un amante della fotografia ad altri amanti della materia. Roba che non scade e acquista, nel tempo, nuovi significati.

Guardandolo ora non posso che pensare a quanti altri libri di fotografia facciano fatica a spiegarsi, perché non capiti, e quanto questo, nello specifico, mi abbia aiutato a superare i momenti di vuoto creativo, a soddisfare le mie curiosità.

Una risposta posso ora dartela. Lezione di fotografia mi ha dato tanto. Quella copertina, prima ignota ed insignificante, è ora una cara amica a cui ho legato una parte del mio percorso nel mondo dell'arte fotografica. Sfogliarlo, più che un obbligo accademico, è adesso un piacere da riscoprire di anno in anno.

Prendilo. Non farti abbindolare anche tu dal titolo o dalle promesse.

Un libro così, nella propria libreria, fa sempre comodo averlo.

Lezione di fotografia. La natura delle fotografie (2010, Phaidon)

Chi è Stephen Shore?

Stephen Shore è un fotografo americano. Famoso in tutto il mondo per la sua ricerca visiva legata al paesaggio urbano e allo svelamento del bello nel quotidiano. In giovanissima età ha collaborato con Andy Warhol (17 anni) ed esposto al MOMA di New York (23 anni). Tra i suoi lavori a lungo termine ricordiamo Uncommon Places, Transparencies ed American Surfaces. Qui il suo Sito Web.

Transparencies: Small Camera Works. È sempre Stephen Shore...ma a 35mm!
Occhialino, fronte alta e sorriso sornione. Si aggira per le strade, con un banco ottico sulle spalle e una Leica al collo. Scatta. Si ferma a pensare, comporre. La civiltà sta passando tutta dal suo obiettivo. Poterla catturare è il suo unico scopo. Sembra il perfetto identikit di un ricercato
William Eggleston’s Guide. La bibbia degli amanti della fotografia a colori
Immagina un colore, un blu, quello del cielo, imprimilo bene in mente e poi prova a restituirlo, così come lo hai pensato, all’interno di un’inquadratura fotografica. Puoi metterlo in primo piano, isolato dal contesto e dal suo oggetto di appartenenza, oppure con altri elementi, per risaltarne le su…

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