Evelyn Hofer. Fotografa, artista ed ascoltatrice silenziosa. Il suo nome non ti sarà nuovo e di sicuro, qualche sua immagine, a colori o in bianco e nero, online o in qualche libro fotografico, ti sarà già passata sotto gli occhi. Eppure, di lei, si sa ben poco.

Gran parte degli appassionati di fotografia, tra cui mi inserisco anche io, non ha mai dato un volto, ne cercato di trovarlo, alla narratrice visiva che dei volti, per ironia della sorte, ha fatto uno dei suoi strumenti di ricerca migliori.

La chiamano tutti "la fotografa sconosciuta più famosa d'America" (cit. Hilton Kramer) e, per certi versi, lo è per davvero, perché di lei, a parte le sue fotografie, di indicibile bellezza, abbiamo poco e niente più.

Ma chi è Evelyn Hofer? E perché te ne parlo oggi?

Dublino, 1966 © Evelyn Hofer

Evelyn Hoffer è una fotografa di origini tedesche.

Nasce a Marburgo, nel 1922. Dopo un prima esperienza travagliata nel mondo della musica, e dopo vari spostamenti in giro per l'Europa, Evelyn getta l'amo nel mondo della fotografia, scoprendone, a metà degli anni '40, le sue potenzialità.

La fotografia, in quel periodo, stava acquisendo sempre più autorevolezza tra i medium comunicativi e lei, curiosa osservatrice della società, voleva essere, a tutti i costi, tra le protagoniste di questo cambiamento.

La sua carriera inizierà a rilento, a Basilea, per poi esplodere del tutto in America.

Lì, nella terra delle mille possibilità, il suo talento cristallino, e la sua spiccata sensibilità per le persone, attireranno le attenzioni di Alexey Brodovitch, direttore creativo dell'epoca di Harper Bazaar, tanto da farle conquistare le sue prime commissioni nel campo della moda, del ritratto e del fotogiornalismo.

Tutti, in quegli anni, inizieranno a conoscerla come la fotografa dall'inguaribile ottimismo e la vorranno per raccontare le loro storie.

Collaborerà per il New York Times, Vogue e per il The Sunday Times Magazine. Poserà il suo occhio, dando vita a raccolte di fotografie di inestimabile valore, su Dublino, Firenze, Londra, Parigi, New York e Washington.

Insomma, non l'ultima arrivata nel settore, o forse no?

Dublino, 1966 © Evelyn Hofer

La sua biografia, purché densa di esperienze, potrebbe trarci in inganno, perché, nel dettaglio, ci racconta ben poco di Evelyn e dei suoi sogni nel cassetto.

Chi era e perché la fotografia le importava così tanto?

Analizzandola al microscopio - la sua biografia - non differisce molto da quelle di altre importanti autrici (Jill Freedman ad esempio), ma le sue immagini, rigorose nelle forme, e trasparenti nei contenuti, ci svelano la sua vera anima: donna forte dal cuore sensibile - e dalla visione nitidissima.

E qui inizia il suo mito.

Evelyn Hofer ha raccontato, accompagnata dal suo fido banco ottico (4x5), alcune delle città più influenti al mondo, costruendo, con un modus operandi che ci ricorda il freddo e distaccato universo di August Sander (nell'approccio, ma non nell'essenza), una raccolta di volti, ambienti e contesti molto vicini alla quotidianità delle persone comuni.

Evelyn, al contrario dei suoi colleghi dell'epoca, ha deciso di non rendersi invisibile, ma di instaurare, con i suoi soggetti, mobili od immobili, umani od oggettuali, un rapporto di fiducia e di rispetto reciproco.

Il suo approccio alla fotografia è sempre stato semplice, diretto.

Mette in posa, in strada, senza pianificazione, cittadini di tutte le età, quartieri, razze e religioni: individui che le prestano attenzione e che decidono, di loro spontanea volontà, di far intrecciare la loro storia, fatta di emigrazione, ingiustizie e conquiste, con una storia più grande, quella della propria città, della propria epoca.

Un realismo quasi pittorico, che sfuma solo leggermente ai margini e che spinge gli osservatori ad immergersi, lievemente, in questi micro-universi.

Non c'è finzione, né preparazione, ma solo la realtà colta nella sua trasparenza.

Scorrendo le sue fotografie, soprattutto quelle su New York, recentemente ristampate in un volume che unisce ritratti e paesaggi, bianco e neri e colore, si può percepire tutta l'empatia che ha contraddistinto la carriera di Evelyn rendendola una tra le fotografe più sensibili del pianeta.

I suoi soggetti, registrati con una certa partecipazione emotiva, si mostrano fieri, tronfi, e spesso inquieti, di fronte al nerboruto occhio del banco ottico.

Gli ambienti, spesso ignorati durante la fase di ripresa da altri fotografi e fotografe, diventano lo sfondo caratterizzante delle personalità e delle storie di questi uomini e donne.

Di fotografie sull'America, e sugli americani, ne abbiamo viste a milioni, ma le sue, nel profondo, lo avrei capito anche tu da queste prime righe, sono molto diverse da quello a cui siamo abituati.

La sua fotografia è come un bacio nel bel mezzo di un ballo scolastico: ferma il tempo, costruendo attorno a noi, ragazzini imberbi, un ambiente ovattato, sicuro, un luogo idilliaco in cui muoverci liberamente e sguazzare tra i dettagli.

Nei volti di questi completi sconosciuti si nasconde la verità di un'epoca e guardandoli nel presente riusciamo a cogliere parte di quell'ansia, di quella tensione e di quell'aria di cambiamento che ha contraddistinto gli anni '60.

L'allunaggio, la beat generation, le rivoluzioni e l'atomica.

Non c'è presa di posizione, né una valenza politica nelle immagini di Evelyn Hofer, ma solo la voglia di rendere partecipe il mondo dello scorrere del tempo.

Uno stile giornalistico, quasi da rivista di moda, ben inserito nella quotidianità ed esperito attraverso il perseguimento di piccole regole compositive: il canovaccio su cui cattura, e costruisce, instanti unici, poetici.

Puliti, efficaci e senza fronzoli: i suoi ritratti di strada colpiscono il cuore anche dei più duri e ci sottolineano, per l'ennesima volta, l'importanza di rendersi testimoni della nostra epoca, della nostra società.

Un rendersi testimoni senza però rendersi protagonisti. C'è una bella differenza.

Per una fotografa costretta a muoversi, a cambiare aria per questioni politiche, l'aver trovato nella fotografia uno strumento di apertura, di partecipazione, nei confronti dell'estraneo, dello sconosciuto, è stata la sua CONQUISTA più grande.

Potremmo vederla come una piccola finestra sul giardino, in cui sporgersi quando la noia sopraggiunge nel bel mezzo di una lunga serata estiva. Una finestra non nuova, consunta, faticosamente sollevata dopo anni di allenamento e porte chiuse.

E torniamo a chiedercelo, per chiudere il cerchio:

Chi è stata realmente Evelyn Hofer?

Evelyn Hofer è tutte le sue fotografie, l'identikit di una persona mischiata a quello degli altri; una donna che ha visto nella comunità, nell'arte e nel vivere nel rispetto del prossimo la chiave della felicità.

Eh si, il suo volto, pur sconosciuto ai più, e pur non essendo famoso come quello di altre, rimarrà ancora un mistero per gli appassionati, ma continuerà comunque a circolerà per sempre in ogni dove, in una forma mai vista prima ad ora:

Quello delle sue immagini.

Evelyn Hofer...ad averne altre come lei!

In realtà, tutto ciò che noi fotografi, imperterriti, fotografiamo, siamo noi stessi nell'altro - Evelyn Hofer
Evelyn Hofer: Encounters, 2019 (Steidl)

Fonti utilizzate:

  1. Evelyn Hofer, Subtle Photographer of People (nytimes.com)
  2. Evelyn Hofer by Hundred Heroines
  3. Evelyn Hofer by The Independent Photo
  4. Evelyn Hofer's immersive New York (theguardian.com)
L’ABC del ritratto di strada. Come affrontarlo al meglio.
Hai mai realizzato un ritratto di strada? È una sfida difficile e spesso concernente uno sforzo fisico e psicologico immane. Ti imbelletti alla meglio, lisciandoti il capello e sperando di avere l’alito a posto, per poi avvicinarti ai tuoi soggetti, mai visti prima ad ora, deciso come non mai,
Lunchtime. Gli avventori della pausa pranzo nelle fotografie di Charles H. Traub.
In tutte le storie che si rispettino c’è sempre una pausa pranzo ad interrompere lo svolgimento degli eventi. Pensaci bene. In queste scene, spesso caratterizzate da attori che fintamente azzannano un panino o personaggi che bevono caffè perché di tutto il resto non hanno voglia, la vita quotidiana…

Un unico obiettivo

Diffondere la cultura fotografica lontano dal brusio delle piattaforme moderne. Sostieni insieme a me il peso, e le spese, di questo compito.

Dona o Abbonati al Blog
Condividi