Le motivazioni che spingono i giovanissimi ad avvicinarsi alla fotografia sono tutt'ora un mistero di difficile determinazione. Per quanto sia possibile tracciarne in parte le cause nodali (famiglia, intenzioni, ispirazioni e traumi personali), ci sono sempre nell'equazione motivi inaspettati, che legano fortemente i fotografi e le fotografe alle storie raccontate tanto da fissarne la loro intera carriera.

Un esempio? Janine Niépce, che ha scelto, per motivi storici e personali, di dedicare gran parte della sua vita professionale alla documentazione del movimento femminista degli anni '70, nonché al ruolo della donna nella società.

Questa scelta la prende proprio in giovanissima età, a 25 anni, dopo una guerra.

La sua è una bella storia, perché dentro c'è tutto: coraggio, pathos, determinazione e, se vogliamo, un pizzico di follia, riscontrabile nella scelta rischiosa di seguire la professione fotografica in un contesto, ancora oggi, molto maschile ed austero.

Con la sua fotografia ha tracciato le evoluzioni e le battaglie sociali dell'epoca, riuscendo a rendere, con immagini esplicative e struggenti, il complicato tema del femminismo un qualcosa di più fruibile a tutti. Insomma, cosa non da poco.

Avevo da un pò di tempo in lista il suo nome. Credo sia arrivato il momento di dedicare un approfondimento alle sue immagini e al suo immenso percorso.

Femminista, artista, intellettuale

Janine Niépce nasce in Francia, Meudon, nel 1921. Figlia di una famiglia di viticoltori, inizia ad appassionarsi all'arte da piccolissima. Quest'amore per le forme figurative si trasformerà, ben presto, in una laurea in archeologia e storia dell'arte (1944), il primo passo verso la scoperta dello strumento fotografico.

Proprio all'università della Sorbona inizia a saggiare le peculiarità della fotografia. La trova fin da subito un medium essenziale, semplice e veloce, come piace dire a lei: "che ti permette di vivere tante vite insieme". Capisce che non può farne più a meno ed allora, parallelamente ai corsi obbligatori dell'università, ne segue alcuni di corrispondenza, per imparare a sviluppare e far uso della macchina fotografica.

I corsi le saranno molto utili, non solo per produrre immagini di suo piacimento, ma anche per farsi trovare preparata in casi speciali, come una guerra, quella che in quegli stessi anni stava devastando il territorio francese: il luogo in cui era cresciuta e in cui aveva imparato a fare botte con un territorio in rapida evoluzione. Userà le informazioni acquisite durante i suoi studi per sviluppare le pellicole per le Forze di Resistenza e per adempiere ai compiti di ufficiale di collegamento. Anni duri, per fortuna sfociati poi in una vittoria del suo paese.

Finiti gli studi, le idee sono molto chiare. Vuole fare della fotografia il suo mestiere. Non c'è altra cosa che tenga. Sapere che, quel ruolo, è fortemente rivestito da soli uomini, non l'allontana minimamente dal suo obiettivo, anzi, è uno stimolo in più a far del bene e a metterlo in evidenza davanti agli occhi di tutti.

Siamo nel 1946 e qui inizia la carriera professionale di Janine Niépce.

Janine Niépce nella sua casa in Borgogna (ritratto di © Jacques Revon)

Janine sembra dimostrare, fin da subito, di avere la fotografia nel sangue.

I più attenti avranno già notato una somiglianza nel cognome con un altro grande della fotografia: Joseph Nicéphore Niépce, autore di una delle prime fotografie della storia e studioso che contribuì all'invenzione del Dagherrotipo.

Molti di noi sentirebbero addosso la responsabilità di rendere onore ad una parentela del genere (io sono tra questi), Janine, invece, ne sembra quasi disinteressata, convinta delle sue qualità e del ruolo che ha scelto di rivestire.

I primi lavori vedono al centro dei suoi interessi la famiglia, il luogo di nascita e il popolo francese. Per la Commissione del Turismo e Affari Esteri, fotografa la ricostruzione del paese puntando i riflettori soprattutto sulle donne, i lavori in fabbrica e la vita contadina. Ne ricamerà un ritratto incredibile, pregno di amore, nonché testimonianza dei contrasti tra città e campagna all'alba dei nuovi media.

Fotografare per le strade la fa star bene. Sentire che le sue immagini riescono, in qualche modo, a comunicare, o comunque illuminare, la condizione sociale della donna nella società moderna, è una cosa che le riempie il cuore di gioia. È importante farlo. Bisogna farlo, e lei è tra le prime fotoreporter a cogliere la sfida.

Immagine di © Janine Niépce

Nel 1955 arriva la consacrazione, con la chiamata dell'agenzia Rapho.

Sotto consiglio dell'amico Henri Cartier-Bresson, anche lui in quegli anni sotto la stessa agenzia, Janine approfondisce la sua ricerca visiva, viaggiando in lungo e largo in tutto il mondo per documentare la condizione femminile e i suoi sviluppi. Nel mentre, distribuisce le sue fotografie a più riviste - voleva rimanere libera da qualsiasi vincolo editoriale - e si dedica, al contempo, ai suoi lavori personali.

Uno, in particolare, assumerà tanta importanza per lei. Insieme al Movimento Francese della Pianificazione Familiare, racconterà il calvario delle donne a seguito del divieto delle contraccezioni e dell'aborto legalizzato: legge approvata a fine Prima Guerra Mondiale (1920) e causa di numerose esistenze rovinate.

Grazie alle sue fotografie, e all'attivismo delle fondatrici del movimento, riuscirà a far approvare la legge Neuwirth nel 1967, rendendo così la pillola anticoncezionale legale ed aprendo le porte ad un nuovo millennio culturale per il popolo francese.

Continuerà, in tutto questo periodo, tra gli anni '70 e '80, ad essere in prima linea alle manifestazioni femministe, per scattare immagini di rara bellezza in strada e cogliere, lì dove la storia viene scritta dalle donne e non dagli uomini, i volti e le esperienze di chi non si è arresa alle ingiustizie sociali e ai soprusi politici.

Morirà nel 2007, lasciando un vuoto incolmabile e tante fotografie incredibili.

La fotografia sociale di Janine Niépce

Parigi, 1973. Immagine di © Janine Niépce

Janine Niépce aveva un talento innato per gestire, con grande sensibilità, contesti e storie come quelle raccontate da lei in cinquant'anni di carriera.

Normalmente essere testimoni di manifestazioni di carattere sociale è un compito ingrato per una fotografa, a maggior ragione se la causa riguarda una grossa fetta della popolazione e se la vede, in qualche modo, anche lei coinvolta nella narrazione degli eventi (ad esempio, lato italiano, lo ha fatto bene Paola Agosti).

Questo per dire che rimanere incagliati dentro una narrazione sterile o imparziale, come quelle legate alla sfera politica, è molto facile, tutti potremmo cascarci. Janine è riuscita invece a divincolarsi presto da qualsiasi visione polarizzante, dimostrando professionalità, rispetto dei soggetti e grande spirito giornalistico.

Le sue fotografie ci raccontano con estrema semplicità la quotidianità vista attraverso il filtro femminile, una quotidianità fatta di battaglie per i diritti ma anche di condivisione di istanti passati con i propri cari o in conquistata solitudine.

Le donne inquadrate da Janine sono donne come lei: forti, indipendenti, desiderose di cambiare il mondo. Compartecipano attivamente alla rivoluzione culturale del periodo e rivestono, con disinvoltura, ruoli spesso solo maschili.

Mai violente o faziose, le protagoniste delle sue storie accolgono gli ideali di una società migliore ed inclusiva in cui tutti possono convivere nel rispetto altrui.

Parigi, 1966. Immagine di © Janine Niépce

Janine è molto vicina ai suoi soggetti. Con la sua Leica, inquadra contemporaneamente la figura umana e il contesto in cui si muovono le interpreti delle sue fotografie. Vuole sottolineare, con questa scelta, l'intraprendenza del genere femminile (di cui ne rappresenta, senza limiti, tutte le età ed etnie) e, al contempo, metterla in relazione a luoghi spesso disadorni e poco descrittivi.

Il contrasto tra sfondo e primo piano rende tutto etereo, immortale: le immagini assurgono a simbolo di una quotidianità insperata, in cui il marcio, se presente, viene soppiantato, ma non minimizzato, dalla bellezza dei momenti catturati.

Guardando le sue fotografie ci troviamo davanti a scene che alternano meravigliosamente gli stilemi della fotografia umanista francese a quelli della scuola americana, tanto attenta alla parte visiva quanto a quella narrativa.

Ci sono i volti, in primo piano, profondamente espressivi e partecipativi, e poi gli sfondi, a tratti poetici, dalla luce abbagliante, e a tratti mere comparse di fronte al bagliore dei visi e dei racconti inquadrati nel mirino. Il connubio è fantastico.

Più le guardo, più rimango estasiato dal senso di misura che Janine riesce a mantenere nel racconto di tutte le sue storie (BEST of PHOTOGRAPHY usa proprio questo termine per descrivere la sua fotografia "senso di misura", lo trovo molto congeniale). Non è una cosa da tutti. Le sue immagini non vanno mai oltre al compito che si prefiggono (raccontare le donne) per diventare, magari, fanatismo, né rimangono inespresse in un contenitore privo di emozioni: sostano meravigliosamente in equilibrio tra l'arte e il documento, permettendoci di affezionarci, con consapevolezza, al tema e conoscerne le sue molteplici sfumature.

Dò sempre la priorità alle donne. La storia, con la “S” maiuscola, ha spesso trascurato le loro azioni e i loro risultati. Le mie immagini sono testimonianze che mirano a suscitare emozione senza dimenticare l'impatto visivo - Janine Niépce

Quello che fa Janine è costruire un mondo, forse, idealizzato (non fotografa mai rivolte, violenze o battibecchi), ma riesce a rendere tutto così naturale e poetico da farci pensare che, un futuro così, dopotutto, possa prima o poi esistere davvero.

È la magia della fotografia, che frammenta il tempo e contemporaneamente eleva ogni istante ad unico, inimitabile, parte di una storia più grande. Quelli di Janine sono istanti di pura energia - veri, come vere sono le ferite delle donne raccontate - che viene rilasciata, lentamente, nell'osservatore. Lettere indirizzate all'umanità e alle generazioni che verranno. Segni di un passato che si spera, ormai, superato.

Non so se in futuro tutti e tutte saranno in grado o pronti ad ascoltarle ancora, quelle parole, quelle immagini. La cronaca attuale mi fa pensare di no, che siamo ancora troppo ottusi per poterlo fare. Ma son sicuro che la società, quando ci si mette, può cambiarle davvero le cose, tendere ad una versione migliore di se.

La Niépce, e tante donne di quell'epoca (e molte della mia), ci dimostrano che quello che sembra impossibile può diventare possibile, se si ha il coraggio di affrontare insieme la tempesta e l'odio. Mi piace pensare che sia ancora così.

Perché studiare Janine Niépce?

Scrivere di Janine non è mai facile. Da uomo non posso minimamente immaginare cosa abbia voluto dire per lei, tra le prime fotoreporter donne del paese, e per i soggetti inquadrati, che hanno rischiato la vita e la carriera per un giusto ideale, scontrarsi giornalmente contro leggi e poteri molto più grandi di loro.

Sono riuscito però, grazie alla sua fotografia, e alle storie connesse ad essa, ad assistere ad una sana narrazione di un argomento complesso, che vede si, protagoniste le donne, ma anche la partecipazione maschile al cambiamento sociale e politico. Perché il femminismo di Janine è quello più puro, degli albori, che vuole parità di diritti e salari e che richiede rispetto tra generi e sessi diversi.

La libertà e la serenità di ogni popolo passa proprio dalla conquista di questi innegabili requisiti. Janine li racconta bene e li rende semplici per tutti ed è forse questo piglio narrativo, dolce e mai urlato, profondamente inserito nel sistema, a permetterci di appassionarci alla sua fotografia e alle storie di tutte quelle donne passate dal suo obiettivo, famose o comuni che siano.

Studiare le sue immagini mi ha dato modo di scovare un prontuario ideale per chi vuole fare reportage o ha la velleità di iniziarne a tastare il terreno: capisci immediatamente quali sono i comportamenti da tenere e quali da aborrire; come prepararsi culturalmente al racconto e come non eccedere nei propri ideali.

Ma, soprattutto, che fare fotografia, e raccontare storie, può ancora cambiare il mondo. Chiamatemi scemo, ingenuo, stupido, che la fotografia sta morendo, ma più vedo contributi del genere - come questo di Janine - e più continuo a pensarlo.

Insomma, beccatevi questa serie di immagini e ditemi se avevo torto.

🔖
Janine ha prodotto numerosi libri e cataloghi. Ti cito, per completezza, le sue raccolte più famose: Les années femmes (1993); Mes années campagne (1994); Images d'une vie e Françaises (1995); Français, le goût de vivre (2005). Se li trovi online, buona fortuna con i prezzi 🥶
Fonti utilizzate:
  1. Archivio ufficiale di Janine Nièpce
  2. La storia della fotografia di Janine Niépce (polkamagazine.com)
  3. Janine Niépce e 50 anni di evoluzione delle donne e della società (9livesmagazine)
  4. Roger-Viollet : Janine Niece and Feminism (theeyeofphotography.com)
  5. Images of a Life. Exhibition of Janine Niépce (visapourlimage.com)
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