Da circa 12 anni, Robbie McIntosh racconta le spiagge napoletane. La sua è diventata nel tempo una vera e propria missione, un voler celebrare, a tutti costi, la bellezza del quotidiano e il coraggio di chi espone, con naturalezza, le sue meravigliose imperfezioni. «Tutti dovrebbero sentirsi a proprio agio con un costume addosso», mi dice Robbie, e guardando le sue fotografie non posso che non tornare col pensiero a quel modo moderno di comunicare la bellezza, che sta distruggendo le nuove generazioni e rimpinzando le tasche delle grandi aziende.

Robbie lo conosco da qualche anno. Come molti di voi, sono venuto a conoscenza del suo lavoro tramite Instagram, in quel bel periodo storico in cui la piattaforma di Meta non si era ancora tiktoktizzata, trasformandosi presto in un conglomerato di bot, video brevi ed odio ingiustificato che tanto ha tolto alla fotografia rendendola quasi indigesta nei nostri feed (se non superflua). Già allora, aveva nei suoi pensieri la spiaggia e le avventure dei bagnanti. Non era ancora super conosciuto dal pubblico, sebbene molto apprezzato da tutti. C'era quella sottile consapevolezza tra noi suoi fan, che se la giornata ti fosse andata anche minimamente storta, bastava entrare nel microcosmo delle sue spiagge per ritornare a sorridere e a pensare che tutto il peggio, prima o poi, sarebbe passato.

«Tutto passa» cita un tatuaggio stampato nel petto di uno dei suoi soggetti. Tenderemmo a pensare che sia vero, se non fosse che l'amore che Robbie McIntosh prova per questo suo lungo progetto non è ancora passato (e come dice lui, non passerà mai, «finché ci sarà da raccontare»). Mancava solo un libro a consacrarne definitivamente il matrimonio. Quel libro, nelle ultime settimane, è uscito, accogliendo il caldo abbraccio del pubblico (siamo già alla seconda edizione del volume, dopo una prima sperimentale) e dodici anni di camminate sotto il sole cocente, accompagnate da paste fredde offerte e da incontri fugaci con una Napoli che abbiamo imparato a capire, ed amare, anche noi.

Non c'era quindi occasione migliore per ritornare a parlare del suo lavoro visto l'imminente arrivo dell'estate e la seconda pubblicazione di On The Beach: aggiornata, ben stampata e con 138 fotografie a colori di scene di vita quotidiana.

Ho raggiunto così Robbie in videochiamata per farmi raccontare, dopo tre anni dalla nostra prima chiacchierata via email, cosa lo abbia spinto a portare avanti un lavoro del genere per 12 anni e il perché, solo ora, un libro da sfogliare.

Intervista
"On The Beach" è ormai un evergreen di Robbie McIntosh. Lo vedo come quel pezzo musicale che a prescindere dal contesto e dall'età del pubblico, riesce sempre a conquistarsi un posto nel cuore di tutti. Immagino che, dopo tutti questi anni sotto il sole cocente e di pasti frugali, tu ci sia più che affezionato

Si, ormai mi è impossibile farne a meno. Sono molto grato a questo lavoro e a quello che mi ha dato. Non esagero dicendoti che io "nasco con On The Beach". Prima di iniziare quest'avventura sulle spiagge napoletane, ero un fotografo qualunque, senza una direzione precisa, né un genere preferito. Diremmo un onnivoro della fotografia (in parte ancora lo sono, sotto certi aspetti), di quelli a cui piace fotografare di tutto e di più senza farsi troppi problemi sulle etichette.

Con On The Beach è stato invece subito diverso. Mi ha offerto un percorso e mi ha spinto ad inseguirlo imperterrito. Non so di preciso cosa mi abbia stimolato a stravolgere il mio modo di fotografare, rendendolo più istintivo, caotico e tematico rispetto al passato, so solo che dopo aver provato sulla mia pelle quello che l'imprevisto e la gente della spiaggia avevano da offrirmi giornalmente (i loro sorrisi, ma anche le tante imprecazioni), non ho più smesso di documentare gli sviluppi e le gesta del popolo del mare: è diventata quasi come una droga.

Questo lavoro è così la mia benedizione e condanna [ride], il progetto per cui sono maggiormente riconosciuto dal pubblico, italiano e non. Sono passati tredici anni dall'inizio di On The Beach eppure ancora oggi non posso vedermi lontano da quelle spiagge e dai suoi bagnanti. Se non è vero amore questo!

Cosa ti ha spinto a portare avanti un lavoro per così tanto tempo?

Mi sono affezionato alle persone, alle loro storie. Quando fotografo in spiaggia mi sento come a casa. So di potermi esprimere liberamente, senza freni inibitori. Le spiagge napoletane, sai, sono, come dire, degli spazi democratici: tutti mettono in mostra le loro imperfezioni infischiandosene dei pregiudizi altrui. Non ci sono classi sociali, né modelli da inseguire. Vince la spiaggia, in tutte le sue meravigliose declinazioni. Questa cosa mi è da sempre piaciuta. Credo che la bellezza non sia la ricerca della perfezione e queste persone nella loro semplicità, nelle loro enormi pance, rughe e fossette, non hanno mai paura di godersi i loro corpi e di ristabilire i normali canoni di bellezza. Li sfoggiano e stimolano gli altri a fare lo stesso.

E poi, a dirla tutta, mi diverto un mondo a scoprire quale stravagante avventura mi aspetterà varcando le soglie di questi ambienti. Torno sempre a casa con aneddoti e fotografie che aggiungono giornalmente un tassello a questo grande puzzle. In questi tredici anni ne ho aggiunti molti, di pezzi, e ancora sento non sia finita qui.

Com'è cambiata, la spiaggia, da quel lontano 2011?

È cambiata molto. Lei, ma anche chi la vive. Oltre all'ambiente, ora maggiormente affollato e sfaccettato, si è stravolto il modo in cui i bagnanti si rapportano alla fotografia e ai fotografi. Prima, se avevi una fotocamera al collo, eri visto con grande sospetto. Quando iniziai fu infatti drammatico. Mi capitava spesso di ricevere minacce; una volta, chiamarono pure la polizia: erano anni particolari.

Immagine di © Robbie McIntosh

Oggi, invece, mi salutano da lontano, mi chiedono di farsi fotografare e postare sui Social Networks. Se non lo faccio, mi fanno delle facce arrabbiatissime, come se li avessi offesi nel profondo. Sanno chi sono e come fotografo. Siamo nell'era dei Social. La cosa non mi dispiace, certo. Ha reso il mio lavoro molto più umano e divertente. È il bello di On The Beach, se ci pensi: affrontare le deviazioni, gli imprevisti e le bellezze che solo il quotidiano e le persone ti sanno donare.

L'unica cosa a cui devo far fronte, purtroppo, è che scatto in analogico. Una volta non era un problema, le richieste erano poche e potevo dosare al meglio ogni fotogramma. Adesso mi è quasi impossibile uscire con un singolo rullino. Tutti vogliono essere fotografati e raccontati. E se provi a fregarli, ti riprendono subito. Sono furbissimi loro, eh. A volte faccio finta di premere il pulsante di scatto, per evitare di far scorrere inutilmente la pellicola, ma quando arriva il momento della consegna delle stampe (le regalo sempre per ringraziarli del loro tempo), si ricordano subito che il materiale prodotto era molto di più: vogliono tutti i fotogrammi, dal primo all'ultimo. Questa cosa mi strappa sempre un sorriso.

Il tuo approccio ai soggetti, invece, ha subito delle modifiche?

Certo che si. Nel tempo ho acquistato maggior sicurezza, iniziando ad avvicinarmi a loro con più disinvoltura. Prima, come ti dicevo, era un delirio. Facevo più fatica a scattare. Oggi sono molto tranquillo, anche perché mi sono costruito una sorta di metodo quasi infallibile: in principio, annuso la situazione, vedo se è fattibile scattare una fotografia e come farlo (a secondo della scena, più che del soggetto); subito dopo, inizio a ronzare intorno alla situazione, finché non sono talmente vicino da instaurare con il soggetto un primo contatto visivo. Lo abituo piano piano alla mia presenza. Inizio magari una conversazione con lui per non metterlo troppo sulle spine e successivamente scatto le mie fotografie. Lavorando con un 28mm o 35mm mi è impossibile fare altrimenti. Devo stare vicino ai soggetti ed accettare che possano rispondere negativamente alla mia presenza. Se non ci si assume questo piccolo rischio, difficilmente si tirano fuori immagini efficaci.

On The Beach, da progetto sui Social Networks, è diventato ora un libro di fotografie prodotto interamente da te. La prima edizione, fatta uscire qualche mese fa, ha avuto grande successo. Perché proprio ora un volume?

I tempi erano maturi. Ci pensavo ormai da anni, ma non mi sentivo ancora pronto. Era importante raggiungere, prima di tutto, una mole di lavoro consistente, in modo tale da avere una selezione completa delle spiagge che mi soddisfasse del tutto. Questa completezza, l'ho raggiunta solo di recente. Sarebbe stato un azzardo produrlo prima. Era ora il momento più adatto. Mi sono fatto così coraggio e ho iniziato a concepire una primissima versione del progetto cartaceo. Inizialmente ho bussato a qualche porta (editori) per farmelo pubblicare, ma non avendo ricevuto risposte, ho optato sull'autoproduzione, riscontrando fin da subito una grande risposta del pubblico. Ho fatto una ventina di copie. 40 fotografie, a colori. Sono andate subito a ruba. È stata una gioia immensa per me.

Ti ha stupito questo riscontro immediato?

Si, tantissimo! Anche perché ho avute numerose richieste dall'estero. Qualcuna pure dai paesi arabi. Il che è incredibile, se ci pensi. Chissà cosa li avrà colpiti di questo mio lavoro. Mi diverte molto pensarci e mi rende altresì felice sapere di aver raggiunto terre così lontane attraverso fotografie di gente comune. On The Beach, d'altronde, nasceva anche per questo: portare un volto di Napoli al di là del solo confine italiano. Insomma, è andata benone. Ora sto completando la seconda edizione del libro. Uscirà a brevissimo e conterrà alcune novità molto interessanti.

Cosa cambia rispetto alla prima edizione?

La prima edizione era parecchio sperimentale. Era composta solo da quaranta fotografie a colori ed aveva un formato più grande. Questa seconda edizione è leggermente più compatta (23x17), ampia (comprende 138 fotografie a colori) e pensata per accogliere tutte le comunità che vivono le spiagge napoletane. Ha pure una bellissima introduzione di Boogie, ad inizio volume. Sono molto contento che lui abbia accettato di curare il testo introduttivo del mio libro. Non l'aveva mai fatto per nessun altro. Io, a dirti la verità, mi sarei accontentato di qualsiasi commento. Già avere Boogie come garante è una vera e propria vittoria. Lui si è impegnato però più del previsto [ride] e mi ha consegnato un ottimo testo di apertura. Quindi non posso che ringraziarlo di cuore. Nel complesso, questa seconda edizione parte bene già dalle prime pagine. E migliora nelle successive.

Come hai strutturato il volume?

Le fotografie sono sparse. Comprendono diverse spiagge, alcune anche al di fuori del perimetro napoletano. Non seguono un ordine preciso. Nella prima edizione avevo dato più spazio ai volti. In questa ci sono, ma in misura minore. Mi piaceva l'idea di giocare di più con le correlazioni tra forme, cose, colori e gesti. Tornano infatti spesso, nelle pagine del volume, il cibo, l'amicizia, l'amore, la tintarella, le sigarette e, immancabili, i tatuaggi, sempre protagonisti di ogni scena. L'obiettivo era quello di mostrare un mondo variopinto in cui tutti si potessero sentire a proprio agio; offrire un ponte, se vogliamo, per superare i pregiudizi e le paure.

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Il volume, come tutto il progetto, è guidato dagli eventi, da quelle contingenze che si creano in corsa d'opera. È un pò come nel baseball. Ogni tanto tiri un palla dritta e, subito dopo, una curva, per tenere sulle spine l'osservatore e non farlo annoiare. Non sai mai cosa aspettarti nelle pagine successive e questa cosa mi piace un sacco.

Non è stato facile selezionare le immagini da inserire. Avevo un archivio pressoché infinito. Mi sarebbe piaciuto dare spazio anche a molto altro. Credo però di aver raggiunto un buon equilibrio tra ritratti, scenette ironiche e dettagli dei corpi. C'è tutto quello che volevo e di cui avevo bisogno. Mi posso ritenere più che soddisfatto del risultato finale. E spero lo sarà anche il pubblico, quando lo vedrà.

Quello che mi piace di On The Beach è vedere come coesistono insieme tutti questi micro gruppi di persone. Si passa dai tatuati, fino ai culturisti. Tutti hanno una loro personalità e tutti si prestano al gioco. C'è una concezione stupenda di inclusione e diversità. È cosi in tutte le spiagge di Napoli?

Più o meno si. Tutte le spiagge sono frequentate da larga parte della popolazione, soprattutto il lungo mare. Ci sono ovviamente delle spiagge che per conformazione fisica si adattano a persone più atletiche. Altre, invece, alle famiglie. Banalmente, Marechiaro, avendo una conformazione rocciosa, viene frequentata più dai giovani. Sono quelli che vedi nelle fotografie fare a gara di tuffi, o di pose, per conquistarsi le attenzioni dei loro coetanei e quelle di noi fotografi. Loro, ad esempio, si lasciano fotografare con grande facilità. Gli piace stare davanti all'obiettivo. Con gli altri è più complicato, ma le sfide non mi dispiacciono.

Interpreti le spiagge in maniera differente?

Fotograficamente parlando, si. L'approccio ai soggetti è uguale, gli ronzo sempre intorno. Cambio però le pellicole. Da tempo ho deciso di fotografare il lungo mare di Napoli a colori, il resto - o giù di lì- in bianco e nero. È più una cosa di natura personale. Credo ci siano delle scene che a colori funzionano meglio. Ad esempio, mi sarebbe impossibile pensare, o restituire, in altri modi, le sensazioni che ti dà il guardare un piatto di pasta o la pelle abbronzata di un signore con la cuffia fosforescente. Non rende uguale in bianco e nero. Si perde qualcosa. O, almeno, per me non è lo stesso. Sarò strano a pensarlo? Magari si, ma questo sono io [ride].

Immagino che, con alcuni dei tuoi soggetti, ricorsivamente inquadrati, avrei stretto una bella amicizia. C'è uno in particolare che ti è entrato nel cuore?

Sai, è una bella domanda questa. Ho condiviso esperienze con molti di loro. Potrei raccontarti aneddoti su aneddoti. Alcuni di questi, al limite del paradossale [ride]. Posso però dirti con certezza che tra i volti che non scorderò mai c'è quello del "Professore", un amabile vecchietto dalla capigliatura rock e il cuore d'oro. Mi ha strappato il cuore essere venuto a conoscenza della sua dipartita. È stata sua figlia a contattarmi e darmi la brutta notizia. Si ricordava di me perché il "Professore" teneva ben custodite le mie fotografie a casa sua. Mi voleva molto bene. Spesso ci dimentichiamo come davanti al nostro obiettivo si nascondino delle splendide persone. Come fotografo, e napoletano, sono fiero di aver raccontato la sua storia.

Come si scampa, secondo te, dalla maschera, da quel mostrare una faccia di Napoli che, per molti, potrebbe sembrare esagerata e, forse, pretenziosa?

È difficile dirlo. Sono dell'idea che siamo diventati un pò tutti degli attori. Interpretiamo un ruolo e cerchiamo di mantenerlo vivo il più possibile. L'avvento dei Social e il turismo di massa - soprattutto quello sviluppatosi a Napoli negli ultimi anni - non ha fatto altro che stravolgere ancor di più il nostro modo di percepire lo spazio, e quindi, la nostra persona. Chi vive la spiaggia lo sa e si comporta di conseguenza. Per questo si lascia fotografare di più da me rispetto al passato, magari mettendosi in pose che potrebbero sembrare audaci o teatrali.

Il concetto di autenticità è ormai corrotto. Scovare, nell'urbano, cosa sia autentico e cosa no è una sfida quasi impossibile. Questo è assodato. Credo però che la gente della spiaggia sia riuscita comunque in parte a mantenere un certo rigore, nella misura in cui mette in mostra la sua personalità infischiandosene delle critiche. Rappresenta uno dei tanti volti di Napoli. Magari non quello che alcuni vorrebbero vedere, ma in ogni caso uno che esiste e che merita di essere raccontato. Escluderlo dall'equazione sarebbe sbagliato. Come anche criticarne, a priori, le sue gesta.

Immagine di © Robbie McIntosh

A maggior ragione mi pongo il problema di come mostrare le storie di queste persone. Cosa mettere dentro il mio obiettivo e cosa no. Bisogna allargare il raggio di azione. Non rimanere sempre incastrati nelle solite situazioni. È solo con la conoscenza e l'ascolto di chi quei luoghi li vive ogni giorno si possono davvero capire le dinamiche che l'alimentano. Sennò si rischia di seguire solo un trend.

Insomma, se fossi rimasto nel mio, e non avessi accettato di scontrarmi, visivamente parlando, con i miei soggetti, non avrei mai potuto realizzare tante delle immagini a cui sono oggi molto legato. Fare questo piccolo passo, dentro il mondo della gente della spiaggia, ha reso On The Beach un progetto migliore.

Che ne pensi, invece, di chi viene dall'estero e si fionda subito nelle spiagge napoletane, magari per realizzare fotografie di strada simili alle tue?

Non ci trovo niente di male. Mi piace molto la fotografia dei cosiddetti visiting photographers. Trovo che riescano ad interpretare il tema dei bagnanti, o la città di Napoli, con personalità e spirito critico. Anche quando lo fanno in maniera più "pettinata", come il caso recente di Brett Lloyd, o il criticatissimo Sam Gregg, riescono sempre a lasciarmi delle ottime sensazioni. Prendi lo stesso Boogie. Vederlo in azione sulla spiaggia è stata un'esperienza impagabile. Ho imparato molto da lui. Mi spiace solo che tanti fotografi napoletani non apprezzino questo confronto con l'estero. Non amano molto chi da fuori racconta la loro gente. Trovo che sia un pensiero parecchio stupido. Nessuno ruba niente a nessuno.

Il pubblico, al contrario, sembra aver risposto bene ad On The Beach. Pur non essendo tu napoletano di nascita, sei riuscito a conquistarti la sua fiducia

Sembra di si. Anche se è stata dura, eh. Quando arrivai a Napoli all'età di otto anni, ero il ritratto perfetto del secchione. Non sapevo giocare a calcio. Ero il primo della classe. Cocco delle maestre. Milanista sfegatato. Insomma, per i miei coetanei di allora, il male assoluto [ride]. Però dai, mi sono divertito molto in questi ultimi anni e non scambierai il mio passato con nessun altro. Napoli è ora la mia casa, il luogo in cui realizzo gran parte delle mie fotografie. Sono felice di sapere che ogni tanto, qualcuna di queste, riesce a far sorridere o riflettere chi le vede da fuori.

Su On The Beach, che dirti, è una sintesi perfetta dell'interpretazione di quello che ho visto e vissuto sulle spiagge. Non ho la minima presunzione di farla passare come una verità dei fatti. Non esiste una verità assoluta in fotografia. È un inganno, in molti sensi. Stai certo però che quello che vedi nelle mie fotografie è quello che volevo raccontare. Su questo sono pronto a giurare in tribunale [ride].

Poi si, se con la mia fotografia riesco anche a far passare il messaggio che tutti possiamo sentirci belli, in costume, anche se imperfetti e poco tonici, ben venga. Vuol dire che il messaggio è arrivato ed è andato oltre gli schermi digitali di uno smartphone. Come sai, quella della lotta ai pregiudizi, è una mia personale battaglia e On The Beach, nel suo piccolo, ne è uno dei suoi più importanti alleati.

Cosa arriva dopo On The Beach?

On The Beach non si ferma mai. Credo che morirò insieme a lui [ride]. Ora sto lavorando ad un reportage sociale su Scampia. Sto cercando di raccontare le persone che la abitano e i ragazzi alla ricerca di un percorso alternativo a quello della criminalità. Il perché una periferia così popolata sia diventata il palcoscenico di atroci sofferenze, ma anche un luogo, da cui, si può costruire il futuro della città di Napoli. È un progetto diverso da On The Beach, ma non per questo meno importante. Spero vivamente di potertene parlare presto con più tranquillità.

Napoli, insomma, non ti abbandona mai

E come potrebbe? Qui mi sento davvero a casa. Più scendo a fondo con i miei lavori, più scopro che non posso fare a meno di avere Napoli nel mio mirino.

Chi è Robbie McIntosh?

Robbie McIntosh è un fotografo napoletano. Fotografa prevalentemente a pellicola. Il suo stile è caratterizzato da una narrazione esuberante degli eventi che unisce l'ironia alla documentazione della città di Napoli. La sua è una fotografia che combatte i pregiudizi e esalta il quotidiano. I suoi lavori su IG o Sito Web.

144 pagine, 138 fotografie a colori con diversi inediti assoluti. Copertina in carta Patinata (Tatto Gessato). Interno in carta Patinata Brillante. Dimensioni 16,50x23,50cm
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